Quando mi chiedono «Di dove sei?» ho sempre qualche problema a rispondere su due piedi.
Sono nata a Trieste, e ci sono rimasta fino agli otto anni, bellissima città in cui si fondono in un imprevisto mix il mare mediterraeo e l’architettura autriacante, donando quel tocco prezioso di Mitteleuropa morbida, ma da una famiglia dove la mamma e la nonna erano venezianissime e il babbo genovese.
Risalendo indietro nell’albero genealogico, da parte di padre ho antenati piemontesi, un ramo di zii a Torino, con un innesto però pugliese, per via della nonna paterna, che portava in eredità sangue di lontane ascendente spagnole; parenti in tutte le Americhe, un bisnonno sepolto a Panama, morto mentre, con la sua impresa di costruzioni, tagliava il Canale, cugini statunitensi e argentini, e un prozio o un trisavolo – non l’ho mai ben capito – che con il suo veliero e la moglie al seguito percorreva romanticamente la rotta da Genova al Perù.
Per parte di mamma, pare, qualche goccia di sangue sardo, mischiato a quello di contadini della terraferma, mentre fra gli antenati più lontani ci sono avvocati padovani e, si dice si narra nelle leggende di famiglia, una supposta ma mai certificata ascendenza ebraica.
Di mio, dopo Trieste, sono cresciuta a Vicenza e poi in Romagna, a Ravenna. Sono vissuta e vivo nella campagna veneta, ho studiato a Venezia, ma poi anche a Roma, con frequenti puntate in Sicilia, per tacere dei semestrali viaggi in Liguria che han costellato la mia adolescenza, le capatine a Bologna o le vacanze annuali in Umbria e Toscana.
Per cui, quando mi chiedono di dove sono, a dover rispondere in fretta mi impappino, perché “sono” un po’ di tutte le parti, e un po’ dappertutto riconosco qualche pezzettino mio, uno scorcio familiare, un ricordo, un accento che mi appartiene e so decifrare.
Così, quando me lo chiedono, a me, molto semplicemente viene da rispondere: «Italiana».
Ma mi guardano strano, e non ho mai capito perché.
Quando ci si sente cittadini del mondo, come me, capita lo stesso…hai una storia molto affascinante!!
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Padre leccese, madre lucana, nato a Milano, cresciuto a Napoli, vissuto a Roma.
A me non lo chiedono mai di dove sono, almeno dopo avermi sentito parlare.
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trano ma ho sempre faticato a considerarmi “italiano” non perché come dicono in molti stiamo passando un periodo buio, e la situazione politica, a prescindere dalle situazioni ho sempre preferito definirmi essere umano.
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In realtà nulla come un buon periodo all’estero fa sentire italiani o italiane, e fa comprendere come le specificità territoriali possono arricchire, ma non cancellare, la comune identità, nel bene e nel male. E se l’estero è lontano, ma davvero lontano, una comincia a sentirsi europea.
Ma purtroppo da noi la sana pratica di vivere (per studiare o lavorare) per un periodo all’estero, e poi tornare, e poi magari riandare, non è diffusa. Facciamo poco ricorso all’erasmus, per esempio. Un vero peccato.
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Concordo con Colore Amaranto.
Apolide, apostata e pure un po’ apatico 😀
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Al solito, gran bel post Galatea. Italiani si nasce e si diventa. Grazie alla consapevolezza di quello che vuol dire essere, davvero, “italiani”. Alla faccia delle piccole divisioni che ci rinfacciamo spesso, siamo un popolo bellissimo.
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Magnifico.
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Ah, è per questo che hai avuto Ersilio Tonini come professore, stavi a Ravenna!
Io mi chiedevo da un paio d’anni, quando ne avevi accennato in un post, cosa ci facesse nelle scuole venete il mieloso Cardinale.
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Dai, non esagerare! Te lo dico in sincera amicizia.
Questa vampata patriottarda di cui si sta ammantando la Sinistra, le è del tutto innaturale e ricorda troppo quel nazionalismo esasperato che fu funzionale al fascismo per la conquista del potere.
I valori autentici da recuperare stanno altrove (liberté, égalité, fraternité).
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@lector
Hai letto “L’AMACA” di Michele Serra oggi?
“Gran parte del merito va alla Lega. E’ soprattutto come reazione a vent’anni di attacco frontale contro l’identità italiana che milioni di cittadini, soprattutto al Nord, hanno sentito l’urgenza di far sentire la propria voce, di esporre il tricolore, di manifestare anche visivamente la propria presenza di italiani in Italia”.
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@–>Mario Caputo e – come p.s. – @–>Galatea
Il mio sentimento in merito continua ad essere questo (non mi risulta che Giorgio Gaber fosse leghista):
Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell’inno nazionale
di cui un po’ mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
se arrivo all’impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.
Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po’ sfasciato.
E’ anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c’è un’aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Rinascimento.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.
Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c’è un’altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido “Italia, Italia”
c’è solo alle partite.
Ma un po’ per non morire
o forse un po’ per celia
abbiam fatto l’Europa
facciamo anche l’Italia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.
(Giorgio Gaber)
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grande
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Qui Gaber catturava in pieno lo spirito:
l’identità nazionale sarà pure inesistente – ma è sempre utile riuscire a simularla al momento opportuno, come quando ci si trova a dover guardare dall’alto al basso un qualche straniero (“Allora qui m’incazzo / son fiero e me ne vanto / gli sbatto sulla faccia / cos’è il Rinascimento”).
Un concetto menzionato in quell’altro, spettacolare post – L’Italianità:
https://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2010/01/17/litalianita/
per il quale – visto che ci sono – ti faccio i complimenti… anche se un po’ in ritardo
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Quando sono all’estero, se qualcuno mi chiede di dove sono, senza alcuna esitazione rispondo, certo: italiana. Per poi aggiungere subito dopo: del meridione.
Quando, in Italia, non riuscendo a capirlo dalla mia inflessione, qualcuno mi chiede di dove sono, senza alcuna esitazione rispondo: meridionale. Per poi aggiungere subito dopo: di Napoli.
Ho vissuto – per periodi tutto sommato brevi – in altre parti d’Italia, e talvolta anche all’estero. E sempre quando mi sono trovata “altrove”, più forte in me si radicava il mio attaccamento alla “mia terra”. Per adoperare un’espressione molto usata da Saviano.
Non lo so, tutto questo rigurgito di patriottismo non mi convince fino in fondo. E pur non avendo letto l’amaca di Serra, credo di poter convenire con lui. A me sembra tanto un sentimento indotto, determinato da un’adesione, non a un valore positivo, ma ad un valore negativo, contro qualcosa o qualcuno.
E non ne posso più.
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Essere italiano per un appenninico da innumerevoli generazioni ( in questo sono l’esatto opposto di Galatea) come me non è niente male. Tra le tante cose che apprezzo quella che mi piace di più è lo spirito critico sulla propria identità che il popolo di questo paese ha sempre manifestato. Chi conosce il mondo sa che altrove non è così scontato.
Ho sempre trovato geniale però la risposta che Einstein dette all’immigrazione americana…
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Ciao Italiana
hai scritto un post splendido!
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Una barzelletta. Né più né meno. Lui, i suoi ministri – soprattutto quella merda che dopo aver pestato il piede a un giornalista si gira e simula pure che quel poveraccio lo stia prendendo a calci, approfittando del suo status ministeriale, una vera merda – i suoi alleati che prendono per il culo milioni di gonzi facendo credere loro di discendere da Obelix, i veri ministri del suo governo, cioè quelli che lo ricattano per i suoi vizietti dopo cena, la dirigenza della sua squadra, i suoi elettori.
150 anni culminati in un giorno dove chiunque abbia un minimo di amor patrio e senso civico dovrebbe vergognarsi per lui e tutti i connazionali complici di questa tragica farsa, andando a restituire il passaporto e la cittadinanza.
Come diceva Freak Antoni a proposito di toccare il fondo e cominciare a scavare?
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Il bello di essere conosciuti… detto simpaticamente e scherzosamente ovviamente.
Io, nata in Piemonte, da padre Campano, di forse origini pugliesi e siciliane, forse lucane (dal cognome della nonna paterna che è come quello di N. Cage), madre abruzzese, si mormorava di origini polacche, ma non ho mai capito il perchè: forse sempre dal cognome; parenti in varie parti d’Europa, parenti negli USA e qualcuno in Argentina, ma credo comunque partiti da italiani, ed a nessuno è mai importato nulla quando lo raccontavo… 🙂
La cosa positiva è che nel miscuglio di tutti questi dialetti ed accenti, mi è venuto fuori un accento simil romano aho… da fare invidia, quasi, a Ricky Memphis: quasi 🙂
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