Rimini Rimini

post dedicato a tutti gli amici riminesi ed in particolare a Ruzino, che spero non me ne vogliano per come, da straniera, parlo della loro città

L’unica cosa che ho capito bene di Rimini è che è un posto strano. Cosa che si può dire di ogni città al mondo, per cui come intuizione convengo che non è un granché.

E’ un posto strano perché sembra una città spaccata, come se fosse costruita a cavallo fra due universi paralleli: da un lato il lungomare, con i suoi hotel scatoloni parcheggiati in fronte all’Adriatico, e ai bordi delle stradone, larghe come arterie americane pronte a perdersi nel niente dell’infinito, un pullulare di negozi di chincaglierie a poco prezzo, piadinerie, pizzerie, gelaterie tutte con i menù e i cartellini illustranti la merce sottotitolati in russo, tanto che ti chiedi se per caso non hai sbagliato l’uscita del teletrasporto, e sei finito al mare ad Odessa.

Poi svolti, costeggi il porto che è un canale lungo lungo, ingolfato più che altro di pescherecci, e vai verso il centro storico; e qui Rimini appare per quello che è davvero e probabilmente sarebbe stata se non fosse scoppiato in questo secolo la moda del turismo di massa: una tranquilla città di provincia, con il centro ordinato, il corso per lo struscio, dove il sabato pomeriggio tutti fanno le vasche vestiti con i loro abiti migliori, sotto lo sguardo indifferente di Augusto o i nasi adunchi dei Malatesta sepolti nel Tempio. E’ la Rimini che conoscevo io quando ero giovane e intrallazzavo con il Museo, ricca e soddisfatta, con le sue belle librerie antiquarie nascoste negli androni e nei cortiletti dei palazzi, i ristorantini tirati a lucido, i bar fighetti, e piantata in centro la domus del Chirurgo, a testimoniare che qua i soldi c’erano e giravano bene fin dai tempi dei Romani, ed anche prima, ve’.

C’è su tutto quell’aria sonnacchiosa ma un po’ marpiona, quella furbizia provinciale italica che però non sa mai togliersi del tutto un fondo di ingenuità, e poi il mito della Romagna che comunque sa godersi la vita, anche se in quel modo un po’ nervoso ed ansiogeno che hanno i Romagnoli di farlo, come se alla fine riuscire a godersi la vita fosse per loro un dovere e quasi una condanna.

Amo molto Rimini, non ho mai capito perché. E’ uno di quegli amori che scoppiano imprevisti, a pelle, a prima vista, e per me la prima vista fu il sole che tramontava sull’arco di Augusto e i suoi raggi che si stendevano piano piano lungo il percorso dell’antico decumano, toccando le pietre ad una ad una, come in una carezza. Mi ha sempre stupito il fatto che di questa città di mare io poi il mare lo ami poco, quasi fosse un particolare di sfondo ininfluente, e mi piacesse più quella sua parte di terra. Forse perché mi pare il suo nucleo più riminese, più vero, la sua forma originaria ed antica.

Tutto il resto sembra un’aggiunta un po’ calata dall’alto, persino quel Grand Hotel così bello, splendente ancor oggi come un set di un film dei telefoni bianchi, tanto che è più forte di te, appena lo guardi ti aspetti di vedere uscire dalla porta Mussolini in braghette bianche, pronto a giocare una partita a tennis con Ciano. E quell’immagine, strano anche questo, persino a me non suscita rabbia o ribrezzo, ma solo un sentimento di lontana malinconia, perché forse la bellezza di Rimini sta anche in questo, nel suo assorbire le epoche, quali che siano, con un gran distacco, come se non la toccassero veramente: una fenice che rinasce sempre dalle sue ceneri e immancabilmente si scrolla via la polvere che le ceneri lasciano sulle piume, con indifferente aria sorniona. Così è passato il Duce, così sono passati i palazzinari degli anni ’60 e ’70 che l’hanno “riminizzata”, così passano oggi i nuovi ricchi del duemila, i russi che calano a stormo per fare incetta di moda italiana nei negozi, e comprano case di lusso nelle belle villette liberty restaurate o in via di restauro. Così ha visto passare anche i blogger a convegno, che alle sette del mattino, facevano jogging sul lungomare con addosso la targhetta di riconoscimento della Blogfest, per sentirsi qualcuno, e poi sciamavano via a cercare panel disseminati qua e là.

E Rimini li guardava, placida, sorniona, elargendogli come una mancia il suo sole, in fondo indifferente ma non cattiva, come è con tutti, perché è una città di terra ma affacciata sul mare, e dal mare la gente va, la gente viene. Proprio come al Grand Hotel.

4 Comments

  1. Grazie Galatea, grazie davvero per avermi commosso. Forse il fumo in circolo aiuta ma nel tuo reportage di Rimini così acquarellato ho trovato il mio essere semi-romagnolo. E quei difetti, quei meravigliosi difetti del “dovere alla ricerca del divertimento” e degli “hotel scatola” sul lungomare, sono la cosa più bella che da Roma posso sognare.

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  2. Complimenti, il tuo post toglie il fiato.
    Vado spesso a Rimini per lavoro, credevo di essere l’unico “straniero” ad preferire più il centro storico, anche se passeggiando sul lungomare tra il bagno “Mauro” e il “Playa Tamarinda” ho sempre ‘impressione di intravedere Federico Fellini e Giulietta Masina che camminano tenendosi a braccetto.

    “Ora Teresa è all’Harry’s Bar, guarda verso il mare, per lei figlia di droghieri
    penso che sia normale, porta una lametta al collo, è vecchia di cent’anni, di lei ho saputo poco, ma sembra non inganni.” (Faber)

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