Pordenone on my mind

Quando sei un’autrice, e ti invitano a Pordenone Legge, sei contenta come un bambino a cui dicano che andrà in Lapponia a visitare la casa di Babbo Natale.

Non so, in effetti, come sia la casa di Babbo Natale, ma Pordenone qualche possibilità di essere scambiato per un paesino delle fiabe ce l’ha. E’ caruccia caruccia, con un corso ordinato e pulitissimo, i negozi tirati a lucido, le strade tutte ricoperte da i gagliardetti gialli e neri del festival che sembrano ricordare una giostra medioevale. E’ uno di quei posti del ricco Nordest dove hai sempre l’impressione che ci siano i soldi, e tanti, ma i soldi servano per godersi la vita, prendersi gli aperitivi ai caffè, passeggiare in centro fra le botteghe, mangiare bene e bere benissimo. Perché, diciamocelo, se ci si stressa e basta, non è Nordest, è Milano.

E’ Friuli, però, e si vede, rispetto al mio Veneto, in certi tratti più duri e cupi del paesaggio, nel verde scuro della campagna anche quando c’è il sole, nella luce che cade giù dal cielo, in certe ore, più diritta e asburgica, nella sfumatura di grigio freddo che prendono le nuvole lontane dal mare. Sono una terra di confine, e lo si sente nell’aria, che anche quando è calda, non è quella del Mediterraneo o dell’Adriatico; nella architettura mista degli edifici, che sono veneziani ma con torri e torrette e merli austriacanti, nei colori degli stemmi e degli affreschi, sfumati, quasi fossero indecisi se stare di qua o di là, con il cupo nord o con la brillantezza delle lagune.

Ci sono stata troppo poco per capirla, ma abbastanza per apprezzarla. Ho amato le sue osterie tipiche, dove le ostesse prima ancora che servire il cliente ci parlano assieme, lo informano sui piatti locali, e anche, affrante, sullo scandalo del giorno, che non è né un giro di mazzette politiche, né una storia di corna e di sesso, ma un vero affronto: le cantine che facevano il sauvignon con delle polverine chimiche, e sant’Iddio tutto si può perdonare, ma sofisticare il vino no.

Ho adorato i suoi cortili chiusi che si intravvedono dietro i cancelli, i gatti che placidi prendono il sole sui balconi fioriti, le librerie che si affacciano su quelli che a Venezia si chiamerebbero campielli, e qua non lo so, per cui li chiamo campielli e amen, i suoi negozietti ordinatissimi, tirati a lucido, che hanno in vetrina gioielli di design, fatti di plastica, gomma e tessuti intrecciati, strani e meravigliosi, ché noi nel Nordest siamo piccoli, e anche un po’ tradizionalisti, ma aperti al nuovo se è bello, perché il bello ci piace.

E poi, dopo aver presentato il libro con una strizza mai provata prima, perché un festival è un festival, e trovarsi a una sala enorme piena di gente è sempre una botta di emozione che lèvati, e aver parlato a mitraglia per l’emozione, ho ripreso il mio trenino per tornare a casa, prendendomi un appunto mentale che devo tornarci a Pordenone, perché mi è piaciuta tanto.

Insomma, se devo scrivere un altro libro per farlo, pazienza, vuol dire che mi rassegnerò.

3 Comments

  1. Intanto complimenti per la presentazione del libro.
    E poi, credo che anche io farò un giro a Pordenone, ne hai fatto davvero una bella descrizione. Del resto da Padova è proprio un attimo!

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  2. Lo puoi sempre visitare in mille altre occasioni di eventi che non sia pnlegge,in incognito!cinema muto,jazz……..ciao!

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