Matteo Renzi e la disintermediazione che ti frega

Ieri Matteo Renzi per un certo numero di minuti è stato lì, in diretta, su Fb, con l’hashtag #matteorisponde, a rispondere, appunto, alle domande del pubblico, o meglio ancora della “gente”. Niente giornalisti, nessun filtro, almeno in apparenza: un grande esercizio, per come è stato presentato, di democrazia. Uno e uno, il premier e noi tutti. E oggi, dappertutto, una grande ola mediatica, perché, come si dice fra quelli che studiano sta roba, è la disintermediazione, bellezza! Cioè che in pratica il politico non fa più interviste con il giornalista, va in diretta sui social, e via.

Ora per anni noi la disintermediazione l’abbiamo sognata, in Italia, perché le interviste ai nostri politici erano quelle delle democristianissime veline e delle Tribune Elettorali d’antan, e poi, in anni più recenti dei Vespa con o senza plastico d’ordinanza, o dei Fazio, e quindi quest’idea del politico che si espone al fuoco di fila non mediato, senza rete e senza protezioni, del pubblico, pareva un sogno.

Però adesso che c’è, questa benedetta disintermediazione, lasciatemelo dire senza per forza attaccarmi subito come radical chic: io tutta questa democraticità non ce la vedo e alla fin fine, se devo essere sincera, di fronte a Renzi, a far domande, io avrei gradito un bel giornalista, di quelli che non sono per niente didintermediati, ma sanno proprio tutto tutto tutto del mestiere.

Non puoi fregare un politico, quando parla, perché parlare al popolo è il suo mestiere. Gli dai un microfono in mano e sei fottuto. A meno che non sia completamente scemo, e spesso anche se lo è, il politico di fronte al popolo si trasforma in Dio. È un rospo nello stagno, un maiale nel fango: ci sguazza e ci si snanara (come diciamo noi in Veneto) come fosse a casa sua.

Il politico disintermiediato è un politico felice, perché il popolo sa sempre rigirarselo come vuole, è il mestiere suo. Sa fare il simpatico e se capita la domanda apparentemente intelligente pure rispondere quasi serio, scherza con i fanti e con i santi recita rosari contrito.

Se vuoi mettere in difficoltà un politico non lo devi disintermediare, lo devi mediare tantissimo, tipo chiuderlo in un recinto di paletti alti come picche e tenerlo là. Ci vuole un mediatore tipo bulldog, che non si lasci fare fesso. Che abbia studiato bene i dati, e quando quello ne cita uno a cazzo lo faccia notare, fermo deciso e implacabile. Che quando svicola lo riprenda, che quando fa il piacione sottolinei la vendita di aria fritta in corso. Ci vuole insomma non il popolo, ma un giornalista.

Ci siamo dimenticati, forse, che il giornalismo è questa roba qua: gente preparata che ha studiato proprio per evitare di farsi fregare da un politico, o da chiunque, Che verifica, studia, confronta, becca la fonte, controlla, contraddice. Voi mi direte, i giornalisti così sono pochi, anzi forse non ce ne sono più. È proprio per questo che invece di disintermediare bisognerebbe pretendere di formane di nuovo per ipermediare, semmai. Perché in questo mondo complesso e pieno di problemi complicati, ci vuole qualcuno molto preparato per prendere in castagna gli imbonitori. Qualcuno che ha studiato non solo i dati, ma anche la storia, e conosce bene i trucchi della comunicazione e del contraddittorio.

Lo so che è bello pensare che in democrazia il popolo possa fare il giornalista, e che sia opportuno far cadere le barriere fra i professionisti e i cittadini dilettanti ma pieni di curiosità. Resta però il dato di fatto che il cittadino dilettante e pieno di curiosità e anche magari ferrato in qualche campo specifico è facilissimo da fare fesso, perché magari sa tutto di mutui in banca se ci lavora, ma non capisce quasi nulla di leggi sul lavoro e di comunicazione politica, per cui magari si lascia intortare con destrezza. Perché alla fine sì, è bello pensare che in democrazia tutti possiamo fare tutto, ma poi è anche vero che per fare le cose bene ci vuole qualcuno seriamente preparato. Io per esempio non mi farei operare al cuore dal mio simpatico vicino meccanico, anche se magari lo stimo tantissimo come persona. Allo stesso modo non vorrei che intervistasse Matteo Renzi, perché avrei il sospetto che Renzi se lo mangerebbe vivo e lo fregherebbe come vuole.

Quindi ecco non so come dire, perché già me li immagino gli alti lai che mi accusano di essere vecchia, e radical chic, e non so che altro. Però io tutta questa disintermediazione non è che la adori, o la trovi rassicurante. Io preferirei che Renzi rispondesse in pubblico alle domande di giornalisti, formati e bravi. E chissà perché invece lui preferisce le dirette su Facebook.

Ma solo però è tanto democratico, eh.

9 Comments

  1. Perfettamente d’accordo, la disintermediazione va solo a vantaggio del furbo politicante. Il problema è che giornalisti con la G maiuscola, tipo quelli che in certe tribune politiche americane cingono d’assedio il politico di turno, non ci sono (più). A meno che per giornalisti intendiamo i Del Debbio, i Vespa, i Fede…
    Lasciamo stare, va’…

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  2. Mancano tanto i giornalisti veri, quelli delle cinque W inglesi….quelli con i quali sono cresciuto come Tobagi, Zavoli, Marco Cassani, Brera…e ne dimentico

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  3. Alla fine questo post riconduce saggiamente al problema cardine del concetto stesso di democrazia moderna: spesso il “demos” è incompetente. Anzi, quasi sempre. Anzi, sempre, salvo rarissime eccezioni.

    Vorrei far notare che la stessa ricetta che richiede giornalisti preparati richiede anche politici preparati – con le spalle al muro, e dopo averli visti all’opera, preferisco un disonesto competente a un volonteroso e onestissimo incompetente.
    (Vero anche però che ultimamente abbiamo avuto un sacco di incompetenti disonesti).

    Quindi se la democrazia si basa sul concetto di delega, ben venga che i delegati si prendano le loro responsabilità! – e allo stesso modo chi è preparato sia premiato con l’incarico che può aiutare meglio la comunità.

    Tanto lo so che tutto questo è ‘wishful thinking’. Sigh.
    Bel post comunque

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  4. Questa democratizzazione dell’informazione è appassionante a dir poco, soprattutto per la grande contraddizione che si porta addosso: il popolo viene sì investito di un potere enorme, ma come dimostrato la maggior parte dei suoi membri non riesce a fare altro se non “buttarla in caciara”.
    Una democratizzazione per cui è giusto lottare, ma di cui non sempre si sente il bisogno. Sempre che non si riesca, a partire da ora, ad avviare una didattica rivolta al buon senso in rete; il che, per democratizzati e democratizzanti, farebbe solo che bene.

    Ottima riflessione.

    E.

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  5. Resto un po’ stranito a vedere quanto diffusa sia l’idea che la “disintermediazione” sia una cosa nuova, come se la politica si fosse fatta da sempre con i mass-media di mezzo: l’anchorman che intervista e milioni di persone in poltrona passivamente ad ascoltare. O il giornalista che intervista e milioni di persone passivamente a leggere.

    Io ricordo quando la politica era fatta nelle sezioni di partito, in cui ci si ritrovava a chiacchierare fianco a fianco, a volte, con personaggi che oggi girerebbero con la scorta di 4 persone.
    O nei bar stessi, prima dei comizi o dopo; e non ci si ricorda che i comizi stessi, spesso erano molto più “interattivi” di quanto ce li riportino i giornali. O nelle fabbriche e negli uffici, in cui leader sindacali e politici sia locali, che a volte di caratura nazionale, venivano a spiegarti di riforme e contratti. Di persona, non tramite Vespa.

    Si cantava, non a caso, che la libertà è _partecipazione_ e lo si faceva in coro con quelli che da lì a pochi anni sarebbero diventati parlamentari e ministri.

    Eppure chi pensa che la “disintermediazione” sia nata oggi, spesso ritiene che movimenti che parlano direttamente col cittadino non siano partiti ma una cosa diversa. Mah… sarò vecchio io, ma per me è ciò che NON parla direttamente col cittadino a non potersi dire partito, e non esserlo mai stato.

    E, sì, Galatea, concordo. Allora come oggi, il politico di razza è quello che parla direttamente a 100 persone e in pochi secondi le mette tutte quante nel sacco…

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  6. parlare direttamente alla plebe, la pingue plebe d’un popolo viziato, significa solleticarne paure, istinti, appetiti, al fine d’un disegno di potere

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