Scuola, le materie utili
Caro alunno,
L’altro giorno passeggiavo per i corridoi della mia scuola e sui muri c’erano appesi i cartelloni che i ragazzini delle prime medie hanno preparato per le elezioni del Consiglio Comunale dei Ragazzi. In pratica ogni anno, in ogni classe, alcuni alunni si candidano per andare poi a portare al Sindaco vero una serie di suggerimenti per migliorare la loro città o la loro scuola.
Sono dei cartelloni divertenti da studiare perché aiutano a capire quanto sia pervasiva la propaganda che tutti subiamo, e che anche i ragazzini, apparentemente così distratti, invece assorbono come spugne. Una infilata di cartelloni con le foto sorridenti e già photoshoppate, le pose di tre quarti come i candidati adulti, i capelli a posto, i vestiti che già sottolineano le diverse visioni del mondo (i più progressisti in felpa e maglione, i più conservatori in giacca e cravatta. Sì, o, in giacca e cravatta. A dodici anni.) e gli slogan simili a quelli che sentono ripetere dai “grandi”.
In ogni cartellone c’è anche una specie di programma elettorale. Una di queste voci mi ha colpito. Diceva: “Trovare i soldi per aprire a scuola laboratori di falegnameria, cucina e meccanica, così noi ragazzi possiamo imparare un lavoro utile.”
Utile. Un lavoro utile.
I ragazzini di quell’età sono meravigliosi: ti sbattono in faccia senza mediazioni cose che noi adulti non vogliamo vedere nella loro immediatezza.
Caro Alunno, lo so. Per te tutto ciò ti insegniamo a scuola è questo: una enorme, gigantesca accozzaglia di cose che nella vita non ti serviranno a niente.
Italiano, storia, geografia, ma tutto sommato anche matematica, scienze e lingue, sono per te cose distanti, spiegate in un modo che a tuo giudizio non ha ricadute pratiche. Le cose utili nella vita, quelle grazie alle quali potrai un giorno trovare un lavoro e il tuo posto nel mondo sono altre: saper riparare una bicicletta, costruire uno scaffale a casa, sfornare una pizza. Tempo fa, del resto, persino Flavio Briatore lo disse in una lezione tenuta all’Università: un bravo pizzaiolo o un cameriere trovano lavoro prima e vengono pagati meglio di molti laureati.
Tu sei giovane, tutti attorno ti ripetono questo, e nella tua esperienza non riesci ad immaginare un posto di lavoro in cui ti sia richiesto di scrivere una poesia, e nemmeno riconoscere il tipo di verso in cui è scritta, o conoscere la data dall’incoronazione di Carlo Magno e dove si trova Aquisgrana (certo, ti potrebbe capitare di fare le guida turistica alla cappella palatina, ma allora, nel caso, imparerai i dati a memoria lì per lì). Avrai probabilmente anche poche occasioni di applicare i teoremi di Euclide o di dover spiegare cosa sia un procariota. In tanti anni, del resto, confesso che queste due ultime nozioni sono servite pochissimo anche a me.
E allora, con logica coerenza rispetto a ciò che hai sperimentato, consideri queste cose inutili e non vorresti perdere a scuola un sacco di tempo per impararle.
E che tu lo pensi, lo posso capire, perché alla tua età lo pensavo anche io. Il guaio è che oggi lo pensano anche gli adulti che poi decidono davvero cosa tu debba imparare a scuola. Tu e tutte le future generazioni che arriveranno dopo. E già il fatto che adulti in posizioni apicali della società riescano a elaborare pensieri degni di un dodicenne dovrebbe far sorgere qualche domanda, ma non è nemmeno questo il punto.
Da qualche anno la proposta che viene fatta per riformare la scuola (quella in cui starai dentro ancora per qualche anno tu, e quella in cui prima o dopo finiranno i tuoi fratelli minori e poi anche i tuoi figli) è pensata così: una scuola basilare e funzionale, in cui si insegnano solo ed esclusivamente nozioni pratiche, immediatamente spendibili poi sul mercato del lavoro, e gli alunni sono spinti sostanzialmente a fare delle cose, senza porsi troppi problemi teorici o spaccarsi la testa in ragionamenti astrusi. Dalle elementari alle superiori, il mantra è produrre, non ragionare. La prassi asfalta la teoria.
Evviva, dirai tu. Evviva mica tanto. Quello che a te e a molti altri può sembrare una vittoria invece potrebbe configurarsi come uno scippo. Uno scippo di conoscenze e di sapere che poi ti tornerà indietro come un boomerang, e quando meno te lo aspetti. Perché saper realizzare delle cose è bello, e dà soddisfazione. Ma in ogni tipo di lavoro, se vuoi diventare davvero bravo, ad un certo punto senti il bisogno di passare dall’intuizione alla struttura, cioè dalla pratica alla teoria. Altrimenti resti uno che produce oggetti, non che li progetta. E uno che produce cose, fidati: può sempre essere sostituito con una macchina, o anche con un altro essere umano disposto a dare meno grane e avere meno grilli per la testa.
Capisci la fregatura, caro alunno?
Tu sarai lì, bloccato al livello base. Avrai un lavoro, ma sarai perennemente incerto e ricattabile. Tutte le altre conoscenze, quelle che ti servono per fare il salto, ti saranno negate. O meglio, saranno disponibili, ma a pagamento, con i corsi di specializzazione che devi pagare tu o che ti dovranno fornire le aziende, sempre che tu sia loro simpatico, non pianti casini, ti adegui alle loro direttive. Un po’ come quando nel medioevo le scuole erano gestite dai preti, e l’unico modo per farsi una istruzione era avere i soldi per pagare un maestro o essere accettato per carità in convento, ma a patto che tu non formulassi mai una teoria eretica, o anche un velato rimprovero alla gerarchia.
Vuoi una scuola così? Di base, ma che taglia fuori tutti tranne pochi eletti, ricchi o parte di una élite? Perché ci stiamo arrivando. E se tu collabori e dai il tuo appoggio siamo fregati.
E mica solo tu, caro alunno, Tutti.
Lo potresti re-impaginare?Non riesco a leggerlo perchè le righe escono dallo schermo (sulla destra). Grazie!
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Confermo, è impossibile da leggere, almeno con Firefox. Ci deve essere qualche problema con il foglio di stile
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Ho provato a reinserire il testo, spero che ora si legga meglio.
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Ho letto bene tutto e concordo dalla prima all’ultima parola. Credo manchi solo un punto. Quello che manca alla scuola, è l’applicazione, la parte pratica. Esempi: facevo il liceo scientifico sono andata 1 sola volta in laboratorio di chimica, mai in quello di scienze. Non ho mai usato l’aula informatica
Non erano le nozioni di matematica p chimica o biologia a mancare, ma il poterle mettere in pratica sotto la guida di chi mi aveva insegnato.
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Secondo me però esiste un problema nell’idea che ci possano essere delle nozioni immediatamente spendibili sul mercato del lavoro, ed è che al giorno d’oggi le conoscenze richieste per fare un mestiere variano molto più rapidamente di quanto la scuola riesca ad adattarsi con i programmi ministeriali.
In più il mondo del lavoro è suddiviso.
Esiste una scuola pensata per produrre tecnici specializzati ed è l’istituto tecnico. Un perito meccanico se simette a fare il progettista disegnatore che software deve imparare ad usare 2D o 3D? E da che fornitore? Se invece va a lavorare in linea su macchine a controllo numerico che tipo di controllo numerico deve imparare? Se va a fare automazione industriale, che tipo di PLC deve studiare? Potrebbe andare a fare installazioni e collaudi. Potrei fare esempi simili per i geometri piuttosto per gli istituti tecnico commerciali.
Il sogno dellla piccola ditta di trovare un neodiplomato già formato ed in grado di lavorare a pieno regime da subito è un sogno, perché ovviamente ogni impresa ha le sue caratteristiche.
Quello che la scuola deve insegnare, sono le basi ed un metodo di strudio per poter apprendere rapidamente le nozioni necessarie nel lavoro. Anche perché le cose da sapere cambiano. Io quando sono uscito dall’ITITS c’era VAX/VMS sunOS/Sun,MSDOS andava alla grande ed il Macintosh aveva il 68000 con System 7. Poi chi usciva dall’ITIS ed andava a lavorare per le banche doveva imparare OS/400 e MVS. Oggi come oggi tutti questi operativi sono diventati obsoleti o han cambiato nome e caratteristiche, chi è rimasto a lavorare in banca ha dovuto continuare a studiare. Fra l’altro ho parlato solo di sistemi operativi: si vanno a vedere gli applicativi ed i linguaggi di programmazione si apre un mondo immenso che può cambiare passando da una ditta e l’altra.
Se le aziende non sono in grado di formare ed aggiornare i lavoratori è un problema delle aziende e del sistema paese. Quello che succede è che chi entra non si aggiorna, non riesce ad essere più produttivo ed il sistema paese ne soffre.
Il risultato è il crollo della produttività aggregata al costo dei fattori. http://open.luiss.it/files/2018/07/figura-3-schivardi-768×421.jpg
tl;dr anche imparando un mestiere pratico non si esce da scuola conoscendo tutto quello che serve per lavorare, ed in ogni caso bisogna sempre contiuare a studiare.
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Sono uscita da un liceo linguistico e se non a essi vissuto a Londra non avrei mai imparato davvero almeno una lingua. Di tutte le materie studiate ( io con medua dell’8) non ricordo che il 20% e cioè solo le mie materie preferite. Tutto il resto la mia memoria le ha cancellate e non mi sono mai servite nella vita reale. Ok giustamente si dirà che il liceo serve a dare conoscenze per la continuazione all’università. Peccato che io abbia scelto di studiare all’estero dove molte conoscenze non mi sono servite affatto.
La vita di noi individui include il lavoro, la famiglia, la cultura, le passioni. La cultura è stata quasi eliminata. I giovani che s’interessano di qualche forma artistica sono pochissimi. Le associazioni culturali aprono e non durano. I libri si pubblicano ma quasi nessuno legge.
Purtroppo, e sottolineo purtroppo, io faccio parte dell’ambiente culturale fallimentare, artistico-letterario, e ogni giorno ho un riscontro negativo da quello che vengo a sapere e da quello che dicono le persone.
I giovani non sono interessati ai libri e all’arte e nemmeno a tante altre cose meravigliose.
Inoltre con la cultura non si “campa” ed è sempre stato così. Un artista è sempre ostacilato da questo ambiente in cui la cultura viene sempre all’ultimo posto.
La tecnologia ha preso il posto della cultura ormai. Se gli studebti dicono che è più utile imparare un mestiere è quella la verità e bisognerebbe ascoltarli gli studenti.
Mi spiace dirlo, e dirlo io soprattutto, ma con la cultura nè si mangia nè si sopravvive.
Noi tutti, scrittori e pittori, musicisti e filosofi, poeti e attori, abbiamo vissuto la fame.
E ci tocca fare un altro lavoro perchè il nostro lavoro non è valutato e retribuito.
Dunque a malincuore dico che quedti ragazzi ci hanno visto bene e hanno molto senso pratico.
Io conosco e ho letto migliata di libri e ho una vastissima cultura ma se faccio un colloquio non posso parlargli dell’Eneide di Virgilio e neanche dirgli tutto quello che so su Michelangelo. È triste ma la conoscenza di certe materie nel mondo del lavoro non serve affatto. Glielo dico perchè sono una adulta e ho vissuto molti anni e quasi metà della vita.
Dunque ascoltateli questi ragazzi e dategli una chance. Il futuro purtroppo non si costruisce con Omero e Dante e neanche con Hegel o Kant.
È un compromesso e abbiamo fallito, sì abbiamo fallito e loro diventeranno lavoratori e consumatori. Ma la realtà è questa. E continuo a dirlo a malincuore 🙁
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Un buon idraulico fa comodo a tutti. E non c’è niente di male, anche se hai una laurea in latino medievale, a saper lavorare all’uncinetto, fare bene la pizza, saper stuccare un tavolo o riparare una presa elettrica. Entrambe le possibilità, vita attiva e vita contemplativa, andrebbero tenute il più possibile aperte IN CONTEMPORANEA ai ragazzi, per permettere loro di fare la scelta con cognizione di causa… o di non farla, che sul piano lavorativo può risultare molto utile. Come sai, i monaci benedettini avevano idee molto chiare in proposito.
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Intanto le aziende richiedono tornitori e fresatori a tutto spiano (e naturalmente non si trovano), e c’e’ la corsa a iscriversi a Scienze della Comunicazione, per poi finire a lavorare in un call center. Ma questi professori sanno leggere il mercato del lavoro? Come consigliano i ragazzi? E i genitori che ruolo hanno?
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Potrebbe scrivere a mano, con una bella stilografica – quelle economiche perdono inchiostro dappertutto – e poi passare tutto allo scanner, con un buon programma OCR; certo, deve avere una bella calligrafia: per me questa possibilità è preclusa.
Se poi l’editore non vuole rischiare il macero, può rischiare lei: ci sono tanti editori disponibili per l’autoproduzione.
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Dialettca molto efficace e persuasiva. Mi avevi quasi convinto, finchè non ho ricordato il livello culturale (titoli di studio in primis) dei nostri ultimi due ministri della pubblica istruzione… Quel che è più strano è che nessuno, neanche nei blog più attenti alle questioni culturali, sembra particolarmente interessato a questa situazione. Però con quali fatti possiamo sostenere che la cultura è necessaria, se in realtà non serve neanche a chi è responsabile della sua somministrazione?
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C’è una mia risposta ad un commento, che però è nel frattempo sparito. Temo che risulti incomprensibile.
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del tutto d’accordo. Se hai le nozioni di base sai come difenderti e puntare verso l’alto. Se mi limito a pensare a qualcosa di spendibile subito nel mercato del lavoro, come erano un tempo le scuole professionali, dove imparavi un mestiere, rischi di essere sempre ai margini come hai scritto.
Visto che furbescamente chi sta al potere, per difendere la sua rendita, punta alla massa di pecoroni che lavorano a testa bassa, allora sì che siamo fritti
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@Murasaki: quindi sei perfettamente d’accordo con me. Solo che qui il,punto è che ormai è passata l’idea, viene passata ai ragazzi, che solo saper riparare un tavolo una presa elettrica sia quello che ti serve nella vita.
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