Il silenzio dell’acqua

 

 

Ieri ero stanca, tanto stanca. Solo chi ha a che fare con i ragazzini può capire la spossatezza di tenerli in classe le ultime due ore di lezione, da mezzogiorno alle due, Quando suona la campanella sei sfibrata. Vuoi una sola cosa: il silenzio. Lo invochi, come nessun penintente ha mai invocato il suo dio. Ne hai bisogno. Quel silenzio dove il mondo non esiste, e non esistono gli esseri umani e i colleghi,  i parenti, i figli i genitori, nemmeno tu. Il silenzio primordiale delle albe sulla laguna, il silenzio dei boschi arrampicati sulle montagne, il silenzio che esiste prima della civiltà, o almeno dell’urbanizzazione. Il silenzio e basta. Dieci minuti di silenzio.

E allora sono scappata. Ho lasciato perdere la pausa pranzo, e le chiacchiere attorno ad un panino prima di rientrare per i consigli. Vicino a scuola c’è una piccola oasi, alcune ex cave di argilla che sono stati trasformate in laghetti. Tecnicamente non ha niente di naturale, è un ambiente ricostruito dall’uomo come un set fotografico. Ne parlavo giusto a lezione ieri mattina con i miei alunni, questa cosa strana che noi chiamiamo “natura” qualcosa che non lo è. La campagna coltivata, i parchi cittadini sono nostri artifici. Ma lì, nel parco, all’ora di pranzo c’era quello che mi serviva. Mi sono seduta sulla sponda del laghetto e ho ascoltato quel particolare silenzio, il silenzio dell’acqua.

Non è un suono, è un respiro. L’eco di qualcosa di ancestrale e lontano. È un ritmo, più che una voce. Entra nelle orecchie e si spande nel corpo come un’onda. E placa. Placa tutto. Come se per un attimo ti disfacessi dal di dentro, nel nulla. Si potrebbe chiamare rivelazione, o epifania. Ma è un momento infinito in cui ti sembra di capirti, o di ritrovarti, o di perderti, tutto assieme.

C’eravamo solo io, la sponda e l’acqua, un leggero sciabordio, quasi muto. Ma era il tutto. Ed era perfetto così. Il silenzio dell’acqua che rigenera, pulisce e poi scivola via, lasciandoti nuova.

Ho respirato. Ho salutato il lago, mi sono girata e sono andata via.

Avevo i consigli di classe.

5 Comments

  1. Beh, cara Galatea, se ti può consolare, ricordo che anche per noi alunni delle medie le ultime due ore di lezione erano una specie di agonia. Non parliamo, poi, delle ultime due del sabato mattina…

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  2. “(…) si spande nel corpo come un’onda. E placa. Placa tutto. Come se per un attimo ti disfacessi dal di dentro, nel nulla.”

    Detta così sembra ciò che i francesi chiamano la petite mort.

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