Che poi diciamocelo, la storia del cristianesimo come religione mondiale nasce oggi: quando Saulo di Tarso, ebreo e cittadino romano, persecutore di ebrei convertiti a questa nuova setta da un tal Gesù di Nazaret, capitombola giù dal suo cavallo, sulla strada di Damasco, perché ha sentito (dice) la voce di Cristo. Diventa cieco e poi si converte, e come tutti i neoconvertiti diventerà più zelante di tutti.
E siccome Saulo, cioè Paolo, da cittadino romano ha una visione globale e pure un talento naturale per il marketing, diremmo oggi, trasformerà una cerchia ristretta ad una manciata di seguaci in una word religion in grado di diffondersi ovunque. Con buona pace del più ligio Pietro, che in fondo la pensava come una setta in seno all’ebraismo.
Di tutte le raffigurazioni di questo momento quella che amo di più è questa, di Caravaggio. E non perché è Caravaggio, ma perché è meraviglioso in questo miracolo la mancanza di ogni presenza soprannaturale.
C’è Paolo, steso per terra, gli occhi chiusi, le braccia alzate. C’è la luce, che boh, potrebbe essere divina, ma anche no. Ci sono il cavallo e il servo, che non vedono nulla. C’è il mistero, assoluto, incomprensibile, di cosa succeda nella testa dell’uomo a terra, e forse solo là dentro.
Vede e sente veramente Dio? Immagina tutto? È toccato dalla grazia o folgorato dalla sua follia? #caravaggio non dice, non sceglie. Ci lascia soli davanti a questa immagine a decidere noi se credere, e a cosa. Ci lancia una sfida, o meglio una provocazione. Che è quello che amava fare. Sorprenderci, spiazzarci, costringerci a venire fuori dalla nostra comfort zone.
Decidiamolo noi se Paolo era un santo, o un matto, un profeta vero o un opportunista. Se la fede è questione di scelte, anche noi, in fondo, dobbiamo decidere da soli da che parte stare.
Galatea, grazie: mi eri mancata!
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