5 febbraio 62 d.C. A Pompei, Stabia ed Ercolano la terra trema. Nelle campagne circostanti dal terreno escono esalazioni mefitiche che uccidono greggi di pecore, e nelle città ci sono crolli e danneggiamenti.
A raccontarcelo è un cronista d’eccezione, Lucio Anneo Seneca, che descriverà l’accaduto qualche anno dopo, nelle Naturales Quaestiones. Le scosse andranno avanti qualche settimana, ma poi la vita riprenderà a scorrere in apparente calma.
Solo nel 79 d.C. ci sarà la definitiva grande eruzione che distruggerà Pompei, Ercolano e altri centri minori.
Tutta l’area pompeiana era fortemente instabile da sempre, ma anche fertilissima. La vicinanza del Vesuvio è stata la sua croce e la sua fortuna.
Già i Greci avevano dovuto fare i conti con terremoti e eruzioni, tanto è vero che uno dei primi insediamenti coloniali, l’emporio di Pithecusa/Ischia è stato a più riprese abbandonato proprio perché colpito da terremoti frequenti.
Non è chiaro se il terremoto del 62 fosse una sorta di “avvertimento” che il vulcano si stava svegliando o un evento a sé. Fatto sta che danneggiò non solo Pompei ma anche Stabia e le conseguenze si sentirono fino a Neapolis e Nocera. Si parla di anfiteatri danneggiati (i campani erano appassionatissimi di giochi gladiatori e molte delle più rinomate scuole si trovavano nell’area) e di crolli in edifici pubblici e case private. Alcuni edifici erano ancora in fase di ristrutturazione nel 79 d.C., all’epoca del secondo terremoto, e talune case ed alberghi risultavano riaperti da poco.
Non si poterono prendere contromisure perché gli antichi non avevano le nostre conoscenze scientifiche e non erano in grado di rendersi conto quanto l’area fosse pericolosa. E anche perché essendo fertilissima la gente tornò ad abitarci.
In antico, come oggi, l’economia vince alla fine su tutto. Foto da Wikipedia
pecunia non olet. Allora come oggi comanda il dio Quattrino
"Mi piace""Mi piace"