Bello come Obama. Pericle, le guerre giuste e i costi della democrazia.

Atene. E quella democrazia così bella. Quella diretta, in cui tutti andavano all’assemblea e mica solo votavano. No, potevano addirittura prendere la parola, proporre una legge, modificare quanto i capipartito avevano proposto per la votazione. Cantandogliele in faccia. Democrazia direttissima. Come un vaffanculo. Roba che Adinolfi prova un orgasmo solo a pensarci. Roba che Grillo pare un dilettante un po’ troppo elitario e blasè.

Mai più eguagliata, la democrazia ateniese. Sogno infranto dall’arrivo di Sparta. O forse infranto un po’ prima, quando alla prima generazione di democratici come Pericle s’era sostituita la seconda. Erano belli, i primi. Eleganti, colti ed educati. Andavano all’assemblea come ad un ballo di gala. Erano caciaroni, incolti e populisti, i secondi: andavano all’assemblea come al cesso.

Te la raccontano così bene, la storia della democrazia ateniese, che ci credi. Pensi che per un attimo, magari un attimo solo, nella Storia si sia riusciti a coniugare il bello ed il giusto: ad inventare un regime politico perfetto, che garantiva a tutti i medesimi diritti e produceva per tutti immani capolavori: i Propilei ed i Partenoni, Eschilo e Polignoto. I poveri non solo all’assemblea, ma nei tribunali, giurati che giudicano chiunque venga portato loro davanti, senza più badare alla nascita, o al ceto; decisioni prese collettivamente, a maggioranza, ricchi e teti con a disposizione ciascuno una testa e un voto; miserabili che, se perdevano un giorno di lavoro per discettare di politica, venivano rimborsati del tempo perso dallo Stato: perché il loro parere, lo Stato, lo voleva, era essenziale.

Tutto vero. Ma poi devi guardare dietro e dentro questo scenario meraviglioso. Andare a rovistare fra le quinte. E allora vedi cose che non ti piacciono. Che preferiresti dimenticare.

Vedi una città che per garantire ai suoi cittadini la libertà, vessava gli altri.

Prima lezione, la democrazia costa. Costa in termini banali di soldi che servono e che si devono trovare. Presentare il conto ai tuoi non è cosa: tutti amano i diritti, ma pochi amano doverli pagare. Se sono diritti, si dice, devono essere gratis. Ed è giusto, in linea di principio. Solo che i principi, ahimè, richiedono soldi per essere asseriti, garantiti e difesi.

Chi pagava i conti della democrazia ateniese? Chi Ateniese non era. Cioè, all’interno della città, i meteci, che erano uomini liberi, sì, ma senza la cittadinanza. Nati ad Atene. Alcuni anche da più generazioni. Alcuni anche ricchi e celebri, come il padre di Lisia, indutrialotto di sostanza, e Lisia stesso, avvocato di fama. Ma non di famiglia ateniese né di origine. Stranieri residenti senza diritto di voto. Con tutto che avevano magari la preparazione e la sottigliezza per renderla ricca e farla funzionare, una città. Con tutto che quella città la rendevano proprio ricca, con i loro commerci, e la facevano funzionare, con i loro consigli e discorsi. Ma non erano cittadini, quindi pagavano e non potevano parlare.

Chi altro caccia fuori i soldi per la democrazia? Gli alleati. Vogliono essere alleati di Atene? Paghino. Vogliono avere la sicurezza della marina ateniese che garantisce i loro traffici, e le rotte delle loro navi, e tiene ben lontani i Persiani? E paghino, allora. Perché il tesoro della Lega, in teoria, è di tutti. Ma, in pratica, se lo tiene chi fa il lavoro sporco, no? Mica ci stanno gli alleati, a far pattuglia ai confini dell’orizzonte, nei giorni d’inverno in cui, sulla tolda della nave, il freddo ti mastica e ti sputa. E così da Delo il tesoro passa ad Atene, dove è più sicuro. E ad Atene viene usato per finanziare le opere pubbliche, l’acropoli nuova di pacca, le Cariatidi, l’Eretteo, il tempio di Atena; e anche i festival della Tragedia, i cori per Sofocle ed Euripide, e pure l’obolo pubblico perché gli Ateniesi possano andare a teatro a vedersele in santa pace, tutte queste belle opere che han scritto per loro grandi intellettuali, e possano discettare e commuoversi sulla ferocia della guerra, sulla sua barbarie. Piangono sulle sventure degli antichi nemici Troiani, gli Ateniesi: sulle moderne violenze perpetrate ai danni dei loro alleati contemporanei no.

Sono Ateniesi, e sono cittadini: il meglio del meglio, oh. Per questo, mica tutti si può essere cittadini. Anche svenando gli alleati, i soldi che ci vogliono sono tanti, e rischiano di non esserci per tutto. E allora, via, se non si possono aumentare i soldi, la strada è limitare la cittadinanza: si è cittadini mica, come prima, se si ha il babbo Ateniese regolarmente sposato, ma solo se anche mamma è ateniese, e di schiatta ben chiara. Si rasale indietro di qualche generazione, se serve, e chi non ha i genitori giusti, raus!

Poi, gli alleati. Che si abituino bene al loro ruolo, cioè riconoscano di essere vacche da mungere e pecore da tosare. Zitte e obbedienti. Perché se alzano il capo, si fa presto a mandar loro in casa un paio di guarnigioni come comandano gli dei, per far ben capire che la democrazia vale per casa nostra, per casa loro solo se fa comodo a noi. Se non fa comodo, meglio che siano governati da qualche tirannicchio ai nostri ordini, che la voce grossa la fa in casa, ma fuori si adegua a ciò che gli si chiede e si comanda.

E se qualcuno, qualche isola grande come una caccoletta, vuole addirittura proclamarsi neutrale, ma che è? Si va là e la si stanga. Neutrale? Si sta neutrale quando da una parte ci siamo noi e dall’altra gli altri? Che si sono messi in testa, di decidere da soli? Spedizione punitiva, o diciamo magari operazione di polizia internazionale, che suona meglio.

Perché la guerra è una cosa sporca. E anche brutta, si è tutti d’accordo. Ma quelle che facciamo noi non sono guerre, sono operazioni di pace. E, se sono guerre, sono giuste, perché lo facciamo per la sicurezza di tutti. La guerra è una cosa brutta solo quando la dichiarano gli altri e non in nome della democrazia. E anche le rapine, se le facciamo noi, hanno un loro perché: servono a pagare i conti della democrazia. Quella nostra, vabbe’. Ma mica ce ne sono poi altre, sul mercato.

Insomma, le nostre guerre e le nostre rapine non sono brutte: sono doverose, sono legittime, e perciò sono anche un po’ belle, perché giusto e bello sono la stessa cosa, l’han detto anche i filosofi nostri, che poi sono i soli che di filosofia capiscan qualcosa.

E quando Pericle dichiara una guerra, è una guerra giusta e bella, perché siamo giusti e belli noi.

E infatti era tanto, ma proprio tanto, tanto, tanto bello, Pericle.

Come Obama.

23 Comments

  1. Piu’ un mito che altro.

    Inizilamente nell’agora’ era accolta solo la cosiddetta Ekklesia, che era fatta solo da nobili ateniesi, cioe’ dalle famiglie considerate fondatrici.

    Dopo le riforme timocratiche di Solone, oltre ai nobili poterono accedere all’Agora’ anche i ricchissimi.

    Il motivo per cui la si chiami “democrazia” rimane un mistero; la percentuale reale di votanti era di qualche migliaio su quasi mezzo milione di abitanti della Lega.

    Era democrazia solo nei sogni. Nella pratica era il governo dei ricchissimi.

    Uriel

    "Mi piace"

  2. @->Uriel: Scusami, ma le informazioni che citi sono imprecise: per quanto non si debba mitizzare la democrazia ateniese, non è esatto definire quella di età periclea come un “governo dei ricchissimi“: anzi, in età periclea lo zoccolo duro di “democratici” era saldamente popolare. Il motivo per cui si chiama democrazia non è un mistero: è l’unica maniera corretta di chiamarla, punto e basta. In quanto “diretta” e “radicale”, poi, lo era per certi aspetti ancor più delle nostre moderne, che agli occhi dei Greci sarebbero sembrate delle semplici oligarchie, anche se allargate.
    A partire dalle riforme di Clistene, del 510 a.C., e poi di Efialte, mentore e predecessore di Pericle, l’assemblea era aperta a tutti i cittadini ateniesi, compresi quelli senza alcun reddito. I più poveri potevano anche diventare membri delle giurie popolari nei tribunali, e venivano pagati con idennità pubbliche per farlo. Ciò determinò una maggiore equità nella discussione dei processi, perché le giurie non erano più solamente aristocratiche o formate da ricchi, tranne il tribunale per gli omicidi volontari, l’Areopago, formato esclusivamente da ex arconti e quindi in larga parte ancora aristocratico.
    Tutti i maschi ateniesi adulti, nell’Atene periclea, non solo qualche migliaio di persone, avevano il diritto legale di partecipare alla assemblea, anche se poi di fatto le fonti di matrice oligarchica lamentavano che non più di 3000/4000 cittadini partecipassero effettivamente. Ma era semplice indifferenza, non ne erano formalmente esclusi. La maggior parte delle cariche pubbliche, poi, era elettiva o addirittura a sorteggio, sebbene per alcune vi fosse un discrimine: per essere eleggibili bisognava far parte delle prima tre classi di contribuenti.
    Quanto poi al fatto che “la percentuale reale di votanti era di qualche migliaio su quasi mezzo milione di abitanti della Lega”, ti faccio notare che stai commettendo un piccolo errore formale: la Lega Delio-Attica era una sorta di alleanza internazionale, in cui ogni aderente aveva diritto di voto: cioè ogni città aveva un voto, in origine.
    L’adesione alla Lega non comportava affatto che le città dovessero adottare regimi democratici, anche se nella maggioranza dei casi ciò avveniva, anche a causa delle pressioni ateniesi; in ogni caso, anche fra quelle democratiche nessuna città aveva una democrazia “radicale” di tipo ateniese: erano per lo più regimi moderati in cui il voto era concesso solo ai più ricchi.
    Comunque lo statuto della Lega Delio Attica, che era una alleanza antipersiana, non prevedeva affatto che i cittadini delle città avessero diritto di voto diretto nelle assemblee della Lega, esattamente come oggi i cittadini italiani singoli, ad esempio, non hanno diritto di voto dentro all’assemblea delle Nazioni Unite.
    La democrazia ateniese era un sistema di governo che coinvolgeva solo Atene e l’Attica, in quanto i demi costituenti la città erano villaggi disseminati nell’intera regione. Non è mai stata estesa a tutti i cittadini delle città della Lega, che pertanto non avrebbero avuto alcun titolo legale per partecipare all’assemblea, essendo cittadini di altri Stati.

    "Mi piace"

  3. interessante il parallelo obama/pericle

    entrambi probabilmente mitizzati

    sulla democrazia ateniese io penso che l’importanza che essa ha nella storia del pensiero politico e filosofico stà nella formula, nella formula decisionale

    l’idea infatti che una decisione, una scelta, un’azione di governo, sia elaborata dalla discussione aperta di cittadini partecipanti, è “in sè” molto interessante

    per gran parte della storia abbiamo dei re, dei sovrani, degli uomini che si pongono al di sopra degli altri ed esercitano il potere per un diritto che è divino, di sangue, di schiatta, magari inserito in un contesto religioso

    invece nella democrazia ateniese c’è una fiducia nella scelta razionale, nella discussione, nella capacità di elaborare idee: stà qui l’importanza del modello

    ovviamente è chiaro che i rapporti di potere fra atene e le altre città, fra atene e la sua sfera d’influenza geografica, sono improntati sulla violenza, sulla coercizione, ma questo è un altro tema

    per altro la cultura greca offriva per lo meno la possibilità di discuterlo il potere, e anche la guerra, infatti le troiane furono scritte e rappresentate non per parlare davvero dell’antica guerra di troia, ma riferendosi ad un episodio di violenza e crudeltà del tempo, mi pare verso la città di delo, ma non vorrei sbagliarmi; dunque intanto nella cultura greca c’era la possibilità anche di un pensiero “divergente” mentre per secoli e secoli successivi bastava pensare qualcosa di diverso e finivi bruciato

    sulla guerra giusta molto ci sarebbe da ragionare, già i manichei avevano posto il problema delle guerre di mosè, e agostino scrisse al riguardo il contro fausto, ma il discorso è lungo assai

    "Mi piace"

  4. — perché il loro parere, lo Stato, lo voleva, era esiziale — mi pare esiziale stia per essenziale; per altro, mi atterrei alle raccomandazioni di Savinio sull’intelligenza della macchina e conserverei il refuso, quanto mai appropriato in questo caso

    "Mi piace"

  5. @->Diego: le Troiane con i fatti di Melo (non Delo) non c’entrano probabilmente nulla: più che altro Euripide proiettava ciò che sarebbe accaduto ad Atene di lì a poco, visto che la sconfitta era già nell’aria.
    Quanto alla “tolleranza” del pensiero divergente presso i Greci, ogni tanto ho qualche dubbio: nella Atene democratica di Pericle finì sotto processo Anassagora; nella Atene moderata post guerra del Peloponneso abbiamo il processo a Socrate. Chi dice cose dissonanti, o si lega alla cricca politica sbagliata e in declino, dà fastidio in qualsiasi tempo e sotto qualsiasi regime.

    "Mi piace"

  6. Bel ripassino. Sempre utile (invecchiando la memoria perde colpi), soprattutto se raccontato da chi conosce la materia. La situazione descritta da Uriel può essere esatta per la Grecia più arcaica, nell’età periclea la democrazia era piuttosto “spinta”.
    I contemporanei, e i moderni, hanno visto nelle partecipazioni pagate alle assemblee un segno di declino, di degenerazione, di quel regime politico.
    Alla morte di Pericle le assemblee popolari -a cui partecipavano persino i rematori della flotta- divennero terreno di conquista dei demagoghi dell’epoca. Un pericolo, questi ultimi, sempre presente nelle democrazie di ogni epoca, pare.
    Imperialisti e aggressivi i cittadini di Atene, pur così democratici, certo, ma avevano sconfitto il dispotismo orientale e la loro potenza era una garanzia contro il ritorno dei Re dei Re e dei loro eserciti.
    È sempre amaro dirlo, ma non tutte le guerre sono uguali; alcune sono tristemente necessarie.
    p.s.
    ci manca un Pericle, è vero, ma anche di Aspasia non se ne vedono in giro. Forse la D’Addario ?

    "Mi piace"

  7. @->Diego: credo che la voce di Wikipedia dia un po’ troppo per automatico il collegamento fatti di Melo/Troiane: è una ipotesi interpretativa, ma non può essere presentata come unica chiave di lettura o di ispirazione esclusiva della tragedia di Euripide, soprattutto perché l’episodio di Melo è diventato paradigmatico solo dopo che Tucidide ne ha parlato, e nei termini in cui l’ha fatto. E’ difficile pertanto stabilire se l’episodio di Melo avesse avuto in Atene una tale risonanza da spingere Euripide ad una riflessione sulla vicenda nelle Troiane anche prima che Tucidide ne facesse un esame così preciso e spietato. Un esame delle fonti coeve ai fatti spingerebbe per il no: non sembra che la spietata azione contro i Meli abbia ingenerato nella opinione pubblica ateniese un momento di riflessione particolare. Il che non esclude che Euripide avesse in mente anche Melo quando scrisse le Troiane.

    "Mi piace"

  8. @->Alessandro B.: No, sinceramente la D’Addario nei panni di Aspasia non ce la vedo. Veronica aveva migliori carte.

    "Mi piace"

  9. Molto, molto bello Galatea.

    Fra l’altro e dal momento che mi diletto e ogni tanto scrivo di storia militare ( no, non sono un fascista e non ho poster di Rambo in salotto) mi permetto di offrire una puntualizzazione ad Alessandro e di aggiungere un paio di fatterelli brevi su Pericle, la Guerra del Peloponneso e la falange oplitica (con successive varianti macedoni), che, fino all’avvento della legione romana, fu la fanteria pesante piu’ efficace dell’antichita’ classica.

    Guarda Alessandro, io non credo che esistano guerre “necessarie” e comunque non temere: capisco benissimo cosa vuoi dire, non ti ho preso per Donald Rumsfeld.

    Non sono pacifista ( mi definirei non violento), ma la guerra, difficilmente e’ “necessaria”.

    Tendo invece a suddividere i conflitti in due categorie: quelli inevitabili ( la Seconda Guerra Mondiale) e quelli evitabili e inutili (la Prima Guerra Mondiale).

    Quanto alla Guerra del Peloponneso, come ti ho detto cara Galatea, solo un paio di riflessioni molto brevi, e ovviamente senza presunzione alcuna dal momento che immagino molte cose, tu le sappia gia’.

    🙂

    La decisione strategica di Pericle allo scoppio della guerra e nell’imminenza dell’invasione spartana di re Archidamo e dell’esercito peloponnesiaco (60.000 uomini) di ritirarsi all’intero delle “Lunghe Mura” del Pireo era essenzialmente corretta.

    Lo statista ateniese sapeva che gli opliti ateniesi (e degli alleati) non erano all’altezza della falange professionale spartana e non ne aveva neanche per le palle di giocarsi l’impero in una singola battaglia campale che avrebbe quasi matematicamente perso.

    Decise cosi’ di lanciare una guerra di logoramento contando sul fatto che:

    A) Atene era immensamente piu’ ricca di Sparta e in virtu’ delle sue enormi riserve finanziarie si sarebbe potuta permettere i costi di un conflitto protratto nel tempo.

    B) Atene era una talassocrazia e poco le fregava se gli invasori spartani avessero messo a ferro e fuoco i campi e gli ulivi dell’Attica.
    Il flusso di vettovaglie, cibo e materie prime sarebbe continuato pressoche’ indisturbato via mare.
    Questo gli spartani ci misero ventisette anni a capirlo e continuarono imperterriti a devastare raccolti senza causare danni significativi (tranne che a Corcira, Acanto, Mende e Melo), finche’ qualcuno a Sparta si gratto’ il testone e si chiese: ” Boia, e se invece della fanteria armassimo una flotta?”

    Inoltre, se agli opliti professionisti di Sparta poco fregava di lasciare i campi incustoditi , l’oligarchia spartana era letteralmente terrorizzata dai ” braccianti incustoditi”, ossia gli Iloti, di cui si temeva una rivolta generalizzata in assenza dei padroni impegnati nell’Attica.

    E questo Pericle lo sapeva bene.

    Francamente credo che la strategia di Pericle avrebbe potuto funzionare, non era affatto sbagliata, ma non tenne conto di due fattori:

    Le frizioni gravi che cominciarono a verificarsi nel tessuto sociale ateniese fra gli agricoltori rifugatisi in citta’, che costituivano il nerbo degli opliti ateniesi e quindi anche i “grandi elettori” della societa’ ateniese, e i teti, che fungevano da “motore” della potentissima marina ateniese in qualita’ di rematori.

    I primi non erano affatto felici di vedere campi e uliveti dati alle fiamme senza poter reagire, mentre i secondi che non avevano niente da perdere, erano i piu’ accaniti sostenitori della guerra di logoramento periclea.

    Di questo come ben sai ne parla anche il primo “giornalista embedded” della Storia: Tucidide.

    Infine: stipare piu’ di 200.000 persone in una citta’, Atene, costruita per ospitarne 100.000 nella torrida estate mediterranea e con le misure igienico-sanitarie dell’epoca provoco’ la famosa “Peste”…e quei danni demografici e materiali immensi che le incursioni spartane negli uliveti non provocarono mai.

    Least but not last:

    Le temute falangi oplitiche si scontrarono come saprai meglio di me, solo in due grandi battaglie: Delio (424 ac) e Mantinea (418 ac), entrambe come prevedibile, vinte rispettivamente da tebani e spartani e comunque non decisive.

    La guerra a livello militare fu essenzialmente combattuta da navi, rematori, fanterie da sbarco, cavalleria leggera, arcieri e “peltasti”, ossia la fanteria leggera, mentre con i nobili opliti, esattamente come con gli eserciti professionali del 18 secolo, troppo importanti e costosi per essere dilapidati in una singola grande battaglia, si gioco’ sempre al risparmio.

    Ho finito non temere 🙂

    In breve:

    Il guerriero oplita armato di una lancia lunga tre metri con la punta di bronzo chiamata “sauroter” (coda di lucertola) e una corta spada, era protetto da un grande scudo rotondo, un elmo e una armatura di bronzo che gli cingeva il torso, lasciando pero’scoperti inguine e collo, dove infatti venivano generalmente inferte le ferite mortali.

    Le due falangi si schieravano una di fronte all’altra con gli opliti di “serie A” posizionati sulla destra di ciascuna formazione, e quelli sfigatelli sulla sinistra.

    Dopodiche’, come due “corazzate di terra” irte di lance, le due falangi marciavano l’una contro l’altra cercando con la parte destra di “agganciare” la parte sinistra piu’ debole della formazione avversaria e di travolgerla, dando cosi’ vita a una sorta di “valzer mortale”…

    Era un lavoro sanguinoso e di merda perche’ le formazioni mancavano totalmente di coordinazione da parte del classico generale a cavallo che assiste alla battaglia dalla cima di una collina, e dovevano quindi affidarsi esclusivamente ai nervi saldi e al cameratismo con il compagno che ti stava al fianco della falange.

    Era assolutamente vitale infatti mantenersi compatti e di qui tutte le infinite variazioni greche sul tema dell’amicizia virile, dell’onore e del mollare lo scudo.

    “Lipostratia”, ossia abbandonare i ranghi e “tresas”, ossia “colui che trema” erano termini dispregiativi che potevano bollare di infamia e distruggere la vita civile del cittadino greco colpevole di essersene macchiato.

    Il “generale che coordina gli opliti” fu inventato da Epaminonda e successivamente perfezionato da Alessandro, che fece della falange macedone un inarrestabile tank umano.

    Anche le legioni romane ebbero grosse difficolta’ ad affrontare le falangi oplitiche finche’ il console Lucio Emilio Paolo a Pidna, durante la Terza Guerra Macedonica, si accorse che come tutti i tank, la falangi macedoni era vulnerabili sui fianchi e…

    Be’ questa e’ un’altra storia.

    Ciao e scusa, ma i tuoi post storici mi attizzano e sono magnifici.

    "Mi piace"

  10. @->Yossarian: Concordo sul fatto che la strategia militare di Pericle fosse corretta, o per lo meno niente affatto stupida. Atene era veramente una talassocrazia in grado di garantirsi rifornimenti per mare anche se gli Spartani invadevano l’Attica.
    C’è inoltre da tener conto di un altro particolare: oltre alla paura degli Spartani di allontanarsi troppo a lungo dalla loro patria, c’era anche il problema della strutturale “oligantropia” spartana, cioè la carenza numerica di Spartiati: coinvolgendo Sparta in una guerra dallo scenario ampio, Atene sapeva che Sparta avrebbe difficilmente potuto spalmare le sue forze su un vasto territorio, proprio perché aveva pochissimi uomini e non li poteva tenere lontano dalla patria a lungo. L’economia spartana, per giunta,non era ancora monataria, il che significava che non poteva finanziare operazioni in terre straniere per lunghi periodi (difatti le vittorie internazionali vennero quando si iniziarono rapporti con il Re di Persia, che garantì soldi a Sparta). Al contrario la talassocrazia ateniese cominciò seriamente a scricchiolare quando cominciarono le defezioni da parte degli alleati. Proprio per l’insofferenza verso le vessazioni della Atene democratica.

    "Mi piace"

  11. Bah, dal sistema ateniese prenderei il sorteggio per le cariche pubbliche: è tutto pronto, nessuna spesa aggiuntiva, basta usare le macchinette della SISAL: il sei diventa Premier, il sei più jolly Presidente della Repubblica. Tanto, peggio di come stiamo ora neanche il sorteggio potrebbe.
    Invece dalla Guerra del Peloponneso prenderei i fuochi che accendevano a fine battaglia. Di moderno ci aggiungerei novello e castagne e manderei il tutto ad Obama: chissà, forse dopo una piacevole serata potrebbe esimersi dal dire balordaggini sulla guerra.

    "Mi piace"

  12. @->Salazar: Be’, mica eleggevano il premier per sorteggio, però. Le cariche che richiedevano sapere tecnico, come ad esempio le strategie militari (quelle che ricoprì quasi ininterrottamente Pericle, cioè) erano elettive, rinnovate con mandato assembleare. Quelle, peraltro, rimasero sempre nelle mani di personaggi di alto lignaggio e reddito (Pericle veniva da una sorta di famiglia Kennedy all’ennesima potenza ed era nipote di Clistene, l’inventore della democrazia, Nicia era un aristocratico di chiara stirpe; persino i democratici radicali di seconda generazione come Cleone e Iperbolo avevano alle spalle consistenti patrimoni personali).
    Ciò che a me però ha sempre affascinato della democrazia ateniese è che le cariche invece istituzionali (pritania, consiglio della Boulé etc.) che erano quelle che dovevano predisporre, per esempio, gli ordini del giorno, le discussioni, le convocazioni e l’amministrazione spicciola, erano sorteggiate: questo permetteva, dato il corpo elettorale ristretto, una partecipazione reale di tutti i cittadini, a caso, alla vita pubblica, ma consentiva anche che chiunque si facesse una diretta esperienza della gestione pratica dello Stato (come si tiene un bilancio, come si prepara un ordine del giorno, come si deve gestire una assemblea, un tribunale, un consiglio). Ecco, questo lo trovo bellissimo: viviamo in una democrazia, la nostra, dove quasi nessuno dei cittadini poi perde una sera per andare a vendere come funziona un Consiglio Comunale, con il bel risultato che spesso neanche sappiamo quali siano le reale competenze e i limiti dei politici che, molto spesso anche a ragione, accusiamo di non saper fare nulla.

    "Mi piace"

  13. A me Pericle m’è sempre piaciuto perchè rappresentato con quel suo elmo fisso sulla testa, forse a celare una qualche malformazione cranica.
    Nome molto comune tuttora in Grecia Pericles, ma anche qui da noi fino agli anni 30 , ricordo da bimbo muratori provetti dal suddetto nome “a Pericle la prossima settimana me devi venì a montà na’ scala”.

    "Mi piace"

  14. Volevo solo un po’ scherzare, Galatea, magari uno scherzo con un filo di amaro: lo so che il premier non lo sorteggiavano: mica ce le avevano le macchinette della SISAL ad Atene nel 500 a C.

    "Mi piace"

  15. @->Salazar: In effetti, era quello il vero problema. E nemmeno l’Enalotto. Il che spiega il tracollo economico di Sparta ed Atene dopo la Guerra del Peloponneso… 😉

    "Mi piace"

  16. magnifico post. quasi quasi lo stampo e lo rifilo al prossimo che, con fare arguto e sguardo ottuso, mi dice che in fondo lo studio dell’archeologia e della storia antica è del tutto inutile! di solito ci provo a spiegare che lo studio del passato aiuta nell’analisi e nella comprensione del presente ma, forse, avrei più successo con un esempio ( ammesso che riescano a capirlo )!

    "Mi piace"

  17. @->Paola: Eh, quelli sono tremendi, lo so. Una tecnica per stroncarli, in effetti, c’è. Si può sempre guardarli con aria stronza, ma davvero stronza, e dire, con fare svagato: “Ah, certo, ma io sono talmente ricca di famiglia che non ho bisogno di fare qualcosa di utile…mica come te, pezzente, che devi lavorare per mantenerti!” Se una la recita bene dà grande soddisfazione.

    "Mi piace"

  18. Non li conosco benissimo, ma credo che il sistema svizzero, con tutti i suoi difetti, sia ragionevolmente vicino a quello ateniese, almeno per il principio della partecipazione diretta.
    Quanto all’ estrazione a sorte ricordo che un politico siciliano affermava che avrebbe vinto nel suo collegio con qualunque sistema elettorale, compreso il sorteggio. Sono propenso a credergli 😦

    "Mi piace"

I commenti sono chiusi.