
Dei personaggi che popolano la Storia romana arcaica – diciamo quella Storia romana che sfuma nella leggenda delle origini dell’Urbe – non è uno dei più noti, anche se poi il suo ruolo è fondamentale. Se dici Romolo e Remo, li conoscono tutti; se dici Rea Silvia una lampadinetta nel fondo della memoria si accende, perché poi la storia della Vestale sedotta da Marte e ritrovatasi incinta è abbastanza pruriginosa per avere fascino. Se invece citi lui, Amulio, ti guardano come dire: “E chi diavolo è?”. Perché lui, in effetti, è il motore della faccenda, il perfido zio dei gemelli che trama alle spalle per farli gettare nel fiume, e poi, ritrovatili grandi, Remo lo fa imprigionare e Romolo lo vuole far condannare a morte. Ma il suo nome, no, non entra in testa.
Invece è un personaggio interessante, Amulio. Fosse stato Greco, un paio di tragedie i grandi classici gliele avrebbero di sicuro dedicate. Invece era Latino, e la tragedia non è mai stata nelle corde di quel popolo che amava costruire ponti, acquedotti e risolvere grane pratiche, ma poi a teatro non voleva rompersi il capo con grandi drammi filosofici, e prediligeva le commedie e meglio ancora le farse e i fescennini.
Amulio, figlio cadetto di un fratello maggiore come Numitore. Uno di quei fratelli maggiori saggi, buoni, che paiono fatti apposta per suscitare l’odio dei minori scalpitanti. Uno di quegli uomini sempre corretti, sempre perfettini, che mai hanno un momento di pazzia, e per questo neanche di simpatia genuina. Uno di quegli uomini noiosi che passano la vita senza vivere mai, e paiono fatti apposta per farsi maledire. Amulio no, fin da giovane è uno scavezzacollo, scalpita, ha grandi ambizioni senza però avere nemmeno una grande qualità per bilanciarle: vuole tutto, lo vuole subito, probabilmente perché sa bene che non lo può avere. Si sente re perché lui saprebbe rischiare, saprebbe buttarsi nelle avventure, mentre la corona spetta invece a quel bradipo di Numitore, uno che non rischia, uno che non ha passioni, uno che rispetta la legge in tutte le sue virgole anche se il re la legge può farsela da solo. Un cretino, in breve, secondo Amulio, perché chi può fare il prepotente e non lo fa non è corretto, è fesso. Amulio il prepotente, invece, non lo fa perché non è sicuro di rimanere impunito, dato che è solo il fratello minore del re e non il re in persona: è fatto così, Amulio, uno che scalpita, magari, ma non ha il coraggio di sfidare la sorte davvero, di prendere e andare incontro all’ignoto, come farà il nipote Romolo, lasciando Alba Longa per creare qualcosa di suo. Amulio vuole tutto, ma lo vuole restando nell’ombra e senza doverselo costruire: vuole che gli cada in mano per poterne così usare come meglio gli piace: è un piccolo viscido intrigante, non un grandioso malvagio. Odia Numitore in silenzio, senza avere la forza di ribellarsi apertamente.
Lo sanno tutti che è così, e che di lui non ci si può fidare. Amulio è uno di quei figli cadetti perennemente scontenti perché nati secondi, ma che fossero stati primogeniti sarebbero stati una jattura per i fratelli minori: li avrebbero pestati a sangue, rifiutandosi di dar loro anche un briciola; ma dato che sono secodogeniti, non possono far altro che recriminare sulla sorte ingrata, accusare il Fato, cercando, a furia di lagni e lamentele, di farsi dare anche quanto non gli spetta. Il padre, che lo conosce, morendo – probabilmente era un padre simile per carattere a Numitore – cerca di trovare il modo di renderlo inoffensivo. E allora, per evitare di far pesare ad Amulio la sua secondogenitura, gli dice, sul letto di morte: “Il regno sia in realtà diviso in parti uguali fra te e tuo fratello, anzi fai tu le parti, così non dirai che sono state fatte male.”
Il padre pensa così – o almeno spera – di disinnescare la bomba, perché Amulio, lui lo sa bene, è uno di quelli che non sanno perdere, non accettano le sconfitte: se non ottiene ciò che vuole subito è capace di andare avanti per anni in recriminazioni, in violenze gratuite.
Crede di aver risolto tutto, il povero papà, convinto che Amulio dividerà la terra dei Latini a metà, e Numitore accetterà con gioia, perché la pace e l’affetto del fratello gli sembreranno più importanti che qualche chilometro in più di sterpaglie nel brullo terreno del Lazio.
Ma Amulio è uno di quelli che sono bastardi, però con intelligenza subdola, soprattutto che sono sempre convinti di aver ricevuto chissà che torto o che ne riceveranno in futuro, per cui si sentono in diritto di farne uno loro in preventiva, per pareggiare una fregatura che magari non verrà mai. Non divide la terra, ma altro. Dice al fratello: “Scegli: o il titolo di re o le ricchezze. Uno si tiene una cosa e l’altro l’altra.”
È una di quelle scommesse in cui il banco vince sempre, pensa fra sé e sé: se Numitore si tiene il regno, io con le ricchezze mi compero tutti quelli che mi servono, e comando comunque; se Numitore si tiene le ricchezze, io, come primo gesto da re, gliele porto via.
Numitore sceglie il regno, perché un legalista come lui non può far altro: è l’eredità dei padri, e anche se non ci è portato, è suo compito farsene carico, perché quello è il suo dovere.
Amulio rogna un po’, ma si consola ben presto: ha tutto ciò che vuole, ricchezze a non finire, agi, e nessuno che in fondo lo comandi, perché il fratello è troppo buono e leale per importunarlo.
Ma dopo qualche tempo il denaro non gli basta più, e il potere occulto acquistato corrompendo non gli dà soddisfazione. Vuole il titolo, vuole la carica: l’ombra ha le sue attrattive, ma prima o poi l’ambizioso vuole la luce del sole.
Così, senza pensarci due volte, decide di spianarsi la strada per il trono. Ammazzando a tradimento, durante una partita di caccia cui lo ha invitato, il principe ereditario, figlio del fratello Numitore, e poi mandando in convento, consacrata alla dea Vesta, l’unica erede femmina, che non le salti mai in testa di sposarsi e mettere al mondo figlioli. Ottiene quindi ciò che vuole, perché Numitore non ha altri eredi, se non quella figlia in pratica suora. Che, per soprammercato, deve essere anche ben stupida, perché si fa ingravidare da chissà chi, e quindi Amulio ha buon gioco nel farla condannare alla sepoltura viva, mentre i gemelli figli del peccato vengono affidati alla corrente del fiume, perché affoghino.
A questo punto Amulio ha partita vinta: gli basta aspettare. Aspettare che il vecchio Numitore, intronato dalle disgrazie, muoia per suo conto, perché Amulio è vile, e non oserebbe mai far fuori un re in carica: da bravo ipocrita preferisce mostrarsi rispettoso, perché se c’è da uccidere con la sica nell’ombra, allora è là pronto, ma se bisogna agire a volto scoperto, con il rischio che il popolo ti si ribelli e reagisca, allora no.
Attende. Attende fiducioso, attende troppo: dopo qualche anno due giovinetti venuti dal contado si fanno notare ad una festa dei Lupercali. Sono due burini, capipopolo di altri burinetti coatti, con la lingua più veloce del cervello, che quando gli sgherri di Amulio li provocano, rispondono per le rime, senza contare a chi stanno pestando i piedi. Amulio ne fa arrestare uno, l’altro scappa. O meglio, non può farlo arrestare davvero, quello che agguanta, perché non è re; quindi lo prende e lo farebbe sparire senza troppi complimenti, se non che il fratello gemello, che deve essere il più sveglio della famiglia, fa scoppiare il caso, va a chiedere giustizia davanti al re vero, Numitore.
E qui, ecco il finale strappalacrime: Numitore riconosce nei due teppistelli i nipoti perduti, Rea Silvia viene scagionata, la famiglia si riunisce dopo anni di separazione, e Amulio resta con un pugno di mosche in mano, da gabbatore a gabbato: non gli resta che scappare come un fuggiasco qualsiasi se vuole aver salva la vita, che generosamente i nipoti ed il fratello gli lasciano.
Amulio anche qua non si comporta come un eroe da tragedia, ma come quel piccolo guitto da farsa fescennina che è. Un eroe della tragedia, perso tutto, si suicida, grande nel male e coraggioso nello sfidare la morte come prima lo era stato nello sfidare la Giustizia divina. Amulio no, prende quelle quattro cose che riesce ad arraffare nel suo ex palazzo e scappa via veloce, troppo contento di aver avuto salva la capa, incurante che quella che ha davanti è una esistenza di disprezzo, umiliazione, stenti.
Amulio non ha dignità, è un piccolo intrigante da retrobottega che fa il prepotente finché non rischia nulla, fa il furbo quando può, accusa il Destino per ogni suo fallimento, e, quando cade, si accontenta di non pagare del tutto il fio dei suoi crimini.
Numitore è stato l’ultimo dei Latini, Romolo il primo dei Romani.
Amulio, però, è stato il primo degli Italiani, se ben si guarda.
io in via amulio a roma ho fatto le medie alla fine degli anni sessanta. ma mai nessuno dei professori che si fosse degnato di raccontarcene la storia.
forse proprio perché è questa che racconti tu 🙂
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GRAZIE!
io pensavo che amulio fosse un protomacbeth, pensa te… e che rea silvia fosse una, ehm, zoccola qualunque, facciamo una lady d che, essendo nobile, poteva dire “è stato marte” e farla quasi franca…
ma mica ho fatto il classico io. e poi so’ un aspirante cinico. 😦
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Prima di tutto, mi alzo in piedi, mi tolgo metaforicamente il cappello e ti applaudo caldamente.
Neanch’io sapevo questa storia, nessuno in effetti la racconta mai. Del resto, la Storia (e la leggenda) la fanno (la raccontano) i vincitori…
Secondo: Orsopio, ma dove ti eri cacciato?
Torna a lavorare un po’, ti aspettiamo.
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Bella storia, raccontata molto bene. Interessante l’interpretazione che dai dei personaggi. Insomma, come dire che i nostri mali sono antichi assai.
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Affascinato come sempre quando racconti la Storia a tuo modo. Sulla chiusa non ho potuto fare a meno di sbellicare dalle risate, anche se alla fine un po’ d’amaro hanno lasciato in retrogusto.
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Gala, sai che le tue chicche storiche son sempre apprezzatissime.
Una curiosità: ti piace di più la cultura greca o quella latina? (Domanda da un milione di dollari ;))
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@ladylindy: Greca.
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Perché no Numitore primo degli italiani? (Mi sono perso un pezzo o si dà per scontato che gli italiani siano tutti Amulio?)
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@ Gala
adesso farai ovviamente un post in cui mi spiegherai perché… *-*
ecco, vedi, ti ho dato uno spunto hahaha!
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Io Amulio sapevo chi era anche da bambina, come ora lo sa mia figlia. Perchè abbiamo letto “La nascita di Roma” e molti altri bei libri di Laura Orvieto.
La figura di Amulio ivi descritta è assai vicina al post di Galatea. Mi sento colta 🙂
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