Il problema è che il professor Giuseppe Nicòtina, professore da qualche tempo in pensione di Diritto processuale, ha perfettamente ragione.
Sì, diciamocelo: quando dice che il figlio, laureato in legge e presentatosi da solo come concorrente ad un concorso nella facoltà di Economia della Università dove ha insegnato il padre, non ha la carriera spianata perché è figlio di un professore universitario ma perché, parole sue: «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutta una «forma mentis» che si crea nell’ambito familiare tipico di noi professori» dice una verità lapalissiana che molti ignorano, o fingono colpevolmente di ignorare. E cioè che se tu hai il gran culo di nascere in una famiglia ricca e colta, come si presume che sia quella di un giurista e professore universitario, ti è sempre un pelino più facile, anzi diciamo un pelone più facile, diventare a tua volta un giurista, o per lo meno un tizio che esercita qualche professione di tipo intellettuale. Persino se babbo o mamma o parenti, voglio dire, non esercitano particolari ed indebite pressioni per farti far carriera.
Non è questione di “forma mentis”, o di superiorità genetica perché nelle famiglie dei professori universitari si erediti con i cromosomi una certa propensione a salire poi in cattedra. E’ una questione ambientale. Se nasci nella famiglia di un intellettuale, di un professore universitario, un grande avvocato, un medico di fama sei immerso dalla nascita in un ambiente dove tutti fanno quello: scrivono libri, hanno rapporti con gli editori, pubblicano, smanettano borse di studio, vanno ai convegni. La “forma mentis” e la naturale inclinazione a farlo anche tu ti vengono perché, fin dall’età in cui gattoni, gattoni fra gente di questo tipo qua. Impari persino quella locuzione latina, “forma mentis”, prima di andare al liceo, perché tutti in casa la usano con la stessa frequenza con cui il vecchietto avvinazzato nel bar di paese intercala le bestemmie. Il figlio del meccanico che cresce nell’officina di papà impara a riconoscere le chiavi inglesi, tu i saggi di Benedetto Croce dalla copertina.
Il problema è che in una democrazia sana e bilanciata queste cose si sanno, e se ne tiene conto nell’impostazione generale della didattica e della società.
Per cui al figlio del meccanico o dell’operaio che sugli scaffali di casa non ha i saggi di Benedetto Croce (possibilmente in edizione originale e con dedica autografa dello stesso) ma al massimo qualche vecchio giallo mondadori comprato da mamma quando andava al mare, vengono garantite le stesse possibilità del figlio del docente universitario: gli vengono date scuole con insegnanti bravi, biblioteche fornite, borse di studio realmente disponibili e non assegnate con concorsi truffa. Si costruiscono le classi in maniera che finisca in banco con il figlio del docente universitario, così magari diventano amici e cominciano a frequentarsi e a frequentare assieme gli stessi ambienti, e da cosa nasce cosa, poi.
L’istruzione statale e gratuita, e tutta una serie di strategie di rimescolamento sociale che la scuola ben impostata mette in atto, insomma, gli consentono, caro il mio Professor Nicòtina, di farsi quella “forma mentis” che il suo pargolo si è formato in casa per osmosi e senza sforzo. Così, una volta che devono concorrere per un posto di ricercatore, il figlio del meccanico e quello del docente se la possono giocare fra loro, ad armi pari, e vince davvero quello che ha più testa, non solo quello che, per una clamorosa botta di culo familiare, è cresciuto avendo a disposizione miriadi di saggi da leggere fin dalla più tenera età, ha potuto chiacchierare da ragazzino con esperti del settore e magari si ritrova pure uno di questi amici di famiglia a fargli l’esame.
Perché le “formae mentis” non nascono per caso, o per predisposizione genetica: sono figlie dell’ambiente che ci viene costruito attorno dalla nostra famiglia e da una società che non si attrezza per raddrizzare le storture delle impostazioni familiari. Altrimenti torniamo all’idea delle caste dell’Antico Egitto, dove il figlio dello scriba faceva lo scriba e quello del contadino il contadino. Anche loro erano convinti che quella fosse una “forma mentis” o un destino che ciascuno aveva e doveva essere rispettato.
Ma eravamo anche nell’Antico Egitto, eh.
E un paese dove, per affermare verità lapalissiane, si deve scrivere un post (brillantissimo) come questo, la civiltà l’ha dimenticata da un pezzo.
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Brava, bene, ben scritto. Pero’ (e non e’ una critica) non sono cose nuove.
Sono infatti denunciate gia’ nella Lettera a una Professoressa di Lorenzo Milani, (sorry, non sono cattolico, ma questo libro scritto da un prete lo ho imparato a memoria) che e’ stata pubblicata nel 1967, vale a dire prima che io vedessi la luce, e anche tu, che sei giovane piu’ di me.
Le trovi qui, a pag. 69 e seguenti; feroce, a pag 71 – gli assistenti universitari lavorano gratis http://www.giuliotortello.it/racconti/lettera_professoressa.pdf
E non che le cose siano cambiate. Conosco bene quella giungla di baronie, nepotismi e clientele che e’ l’Universita’ italiana perche’ ci ho lavorato, inclusi gli anni gratis (vedi sopra) come cultore della materia (o pre-dottorato). Poi, dopo
dottorato, post-dottorato e alla vigilia del concorso, ho detto addio alla carriera accademica e me ne sono scelta un’altra, (in un altro Paese, ma questa e’ una altra faccenda). E ho fatto saltare qualche domino, ma questo non e’ il punto.
Il punto e’ che l’Universita’ italiana e’ da generazioni lo schifo che e’. E i professori di sinistra, che una volta si definivano gli intellettuali di sinistra, hanno collaborato a mantenerla lo schifo che e’. E quando un professore (aka intellettuale) di sinistra e’ diventato ministro, ha partorito una riforma che e’ riuscita persino a peggiorare le cose. Per esempio abbassando drasticamente la qualita’ della formazione, sicche’ i laureati italiani, che nelle Universita’ estere facevano carriera, hanno perso anche quella possibilita’. O dando luce verde alla fondazione di piccole universita’ provinciali e/o sedi distaccate e/o bizzarri corsi di laurea, sicuro come era che altri, dopo di lui, avrebbero pagato il conto. Che finanziare i corsi di laurea in scienze della comunicazione, scienze turistiche, scienze investigative (e non sono nemmeno i titoli piu’ bizzarri) ha i suoi costi.
Quindi, dopo una pessima performance di quel tipo, e visto che siamo alla vigilia delle elezioni-piu’-importanti-degli-ultimi-trenta-anni, di chi dovrei fidarmi e per quale ragione? La risposta standard “perche’ Berlusconi/Gelmini ha fatto peggio” non vale. Perche’ non e’ vera, Berlusconi/Gelmini ha solo cercato di pagare il conto.
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Molto interessante e ben scritto, questo articolo. In realtà andrebbe evidenziato ulteriormentequello che è il punto chiave, a mio giudizio. Il punto chiave è che stiamo parlando di posti statali, cioè cattedre e incarichi (anche abbastanza ben pagati) che sono appunto pagati dalle tasse di tutti, cioè le tasse che paga anche l’operaio, il meccanico, il pizzaiolo, la commessa, il tipografo, ecc. ecc. Se si parla di impieghi privati, non c’è nulla di strano che il figlio di un musicista, vivendo in una famiglia di musicanti, intraprenda quella carriera, come anche il figlio di un sarto intraprenda la carriera di artigiano vedendo fin da piccolo gli attrezzi del mestiere. Ma sono impieghi privati. Invece quando si accede a impieghi statali, supercorazzati come sicurezza e in generale ottimi come retribuzione rispetto a quelli reali degli altri, l’ereditarietà dei posti è un furto, un privilegio di casta pagato da tutti. Concordo quindi col fatto che i posti migliori debbano essere accessibili con trasparenza ai veri migliori fra i cittadini, ma va specificato meglio che ciò riguarda i posti pubblici, pagati da tutti noi. L’insegnante che vince il concorso, un concorso severo fra tanti candidati, senza raccomandazioni, merita il suo buon posto e il suo stipendio, nulla ruba ai concittadini, ruba invece il figlio del primario che diviene primario, anche solo per il «vantaggio ambientale» perchè, come ben enucleato da Galatea, è in realtà lo svantaggio altrui che lo fa primeggiare.
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Terribile, questa storia. Sono felice di essere olandese.
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Molto bello questo articolo.Completamente d’accordo.
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quanto hai ragione, Galatea…
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@–>Diego
Mi riscopro una volta ancora in piena sintonia con te.
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grazie buon lector, in fondo è solo semplice buon senso
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Sinceramente non sono molto d’accordo nè con l’articolo nè con i “principali” commenti. Come nel privato anche nel pubblico ci sono professioni particolarmente specializzate nelle quali un’ambiente giovanile diciamo preparato su una determinata materia aiuta la formazione della persona (cosa purtroppo non successa a me). Dunque è normale che il figlio di un pianista abbia un’orecchio più allenato di un figlio di primario di medicina che non mette mai sul giradischi nulla se non l’inno della fiorentina… non è una colpa. Poi se l’indole del figlio è quella di fare il musicista sarà lui che dovrà approfondire e far fruttare tale fortuna con tanto impegno perché non diventi un buon pianista se non suoni per anni il pianoforte e non diventi professore universitario se non studi per tutta la vita…e questo significa fare fatica (alla quale molti “figli di papà” non sono abituati!) Però se uno fa tutto il percorso e alla fine passa un concorso (sperando non fosse truffa) è merito suo! Certo è partito con 100m di vantaggio, ma alla fine se è arrivato più lontano non credo sia perché nelle biblioteche pubbliche non ci sono abbastanza saggi di Benedetto Croce, ma semmai perché non ha mai dovuto lavorare per pagare le tasse universitarie… il reale vantaggio del figlio dell’avvocato col codice civile usato come ninna nanna non è culturale ma semplicemente economico. poi certo si dovrebbe investire nell’edilizia scolastica, ma non credo che ciò colmerebbe la differenza tra il figlio dell’operaio da quello del professore oggi in Italia. Alla fine però il pubblico deve assumere quello più preparato e non quello che ha fatto più fatica.
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@boris: Grazie per il tuo illuminato parere. E per non aver capito evidentemente nulla del ragionamento del mio post. Ma non è colpa tua, non sei figlio di professore ed avvocato, magari, quindi, giustamente, non ci puoi arrivare. Ciao.
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Quale chiosa del post di Galatea e del commento di Diego, a mio avviso va sottolineato come, storicamente, le società nelle quali s’è saputo dare il giusto riconoscimento al merito, privilegiando gli homines novi rispetto ai rampolli privilegiati, hanno sempre costituito il motore trainante della civiltà occidentale. All’incontro, l’incancrenirsi dei privilegi di casta, del nepotismo e del più bieco corporativismo, sono stati generalmente i marcatori delle successive fasi di buio ristagno, sia economico che sociale. In queste fasi, infatti, chi prima aveva apportato il vento della novità, era ora desideroso di accapararsene i frutti, trattenendoli per sé e per la propria progenie con l’impedire agli altri l’accesso alla stanza dei bottoni.
Avvalendovi di questa logica, provate un po’ a scorrere i cognomi dei giornalisti Rai o dei massimi dirigenti delle principali aziende pubbliche e avrete un sicuro pronostico dell’inevitabile destino dell’Italia.
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Scusate: “accaparrarsene”.
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Grazie, bel post e bello il commento di nahum נחום
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Completamente d’accordo. In un paese democratico gli handicap andrebbero corretti perchè anche questa è una funzione dello stato. E per questo la scuola dev’essere pubblica e correttamente finanziata. Il suo impoverimento da una parte aumenta il divario tra classe dirigente (con la giusta “forma mentis”) e popolo bue e dall’altra blocca l’evoluzione della stessa classe dirigente chiusa in se stessa un oligarchia che in Italia vedo sempre più sterile.
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