Seduzione in vaporetto

Il vaporetto è un piccolo cosmo e i tre gruppi sono i suoi piccoli sistemi solari.

Vicino alla prua ci sono loro, i due ragazzi giovani e carucci, impegnati in strettissimi conversari. Sono educati e sussurrano con seria e compassata eleganza. Hanno jeans sobri ma inequivocabilmente di marca, magliette senza firma che proprio per questo costano di più, sulle ginocchia un quaderno nero con la copertina in pelle, simile al taccuino dei grandi scrittori, e che da solo ha il prezzo di una ventiquattrore. Le folate d’aria riportano brani delle loro conversazioni, in cui si accenna a derivate e calcoli complessi, che li identificano senza falla come universitari al primo anno alle prese con qualche ponderoso esame, destinato a portarli ad una laurea che poi li inserirà di fatto nella classe dirigente a cui già appartengono per nascita, di diritto.

Due file più in qua, l’altro gruppo: i tre bei figlioli tamarretti, con i capelli flashati che virano al biondo pannocchia, le cuffie nelle orecchie con musica a palla che si diffonde come fosse quella di un rave ambulante, i jeans corti e tagliuzzati, le canottiere di una misura in meno perché, così attillate, mettano in risalto gli addominali frutto di intere giornate in palestra.

Poi arrivano loro, le tre ragazze. Sono belle, ma soprattutto vistose e consapevoli di esserlo. Entrano portando i loro hot pants risicatissimi e le loro magliette scollate fino all’ombelico come il manto di una regina. Parcheggiano le loro borse da spiaggia sul pavimento, e si guardano attorno, non per cercare qualcuno quanto per confermare quello che già sanno, ovvero di essere le più ammirate.

I tre tamarretti ammirano, subito ed immantinente. i sei occhi si posano prima sulle generose scollature delle fanciulle, indi sui sederi sodi, indi sui capelli fluenti. Quindi iniziano a tentare approcci confusi e imbranati, offrendosi di far ascoltare la loro musica dagli auricolari, chiedendo il nome alle fanciulle, informandosi verso che spiaggia siano dirette. Le tre belle li squadrano e li valutano in un fiat, fanno un rapido conto di quanto costa quanto hanno addosso e quanto hanno speso per i tagli e le messe in piega, il valore delle loro scarpe e dei loro smarthphone, persino delle cuffie con cui stanno assordando il vaporetto. E decidono che no. Si danno invece di gomito e indicano i due ragazzi studiosi, decidendo che quelle sono le prede giuste.

Allora, fingendo fastidio per i tamarretti, si spostano un poco più in là, e iniziano quello che pensano un infallibile rituale di seduzione. Parlano a voce alta, accompagnando ogni frase con complicati ghirigori di cappelli che vengono avvoltolati fra le dita, ridono due toni sopra la media per commentare aneddoti di gran serate in discoteca, accennano a passi di danza per far ben ballonzolare i seni generosi. Ma niente. I due ragazzi studiosi sono assorbiti dai loro studi, nemmeno alzano la testa.

Finalmente la più intraprendente decide di andare per le spicce. Prende la borsa tarocca finta Luisvuittòn e la piazza quasi sopra allo zaino di uno degli universitari. Il ragazzo si riscuote, guarda la borsa che gli ha in pratica sfondato un calcagno per nulla impressionato, anche perché probabilmente è abituato a vederne di vere portate con nonchalance da madre e fidanzata, poi la ragazza che finge di non notarlo e continua a scherzare e vociare, e le dice, in tono educatissimo: «Scusa…»

Negli occhi della ragazza passa un lampo di vittoria: «Siiii?» dice sorridente.

«Puoi spostare un attimo la borsa, per favore?» Chiede educatissimo lui, e poi torna, senza degnarla di un ulteriore sguardo, ai suoi appunti e a parlare fitto fitto con l’amico.

La ragazza resta lì, tramortita. «Sono gay.» sibila inviperita alle due altre amiche, essendo inconcepibile che un uomo non le cada ai piedi appena lei appare.

«Vabbe’ ci sono gli altri…» replica l’amica.

Ma quando si volta, si rende conto che il vaporetto ha attraccato, e i tre tamarretti, vista l’indifferenza dimostrata dalle fanciulle, sono già sciamati verso il pontile, non ci sono più. E i due universitari si alzano e scendono loro pure, anche perché sul pontile ci sono, ad aspettarli, due biondine loro compagne di studi.

Le tre belle si guardano, scornate.

«Cossa femo?» si dicono, passando immediatamente al dialetto, visto che non c’è più nessuno studiato su cui fare colpo.

«’Ndemo in spiaja, va’»

E ciabattando in infradito si allontanano sul pontile assolato.

5 Comments

  1. Ma tu, quanto ti sei divertita assistendo a questo siparietto? Io non vado in vaporetto ma mi piace moltissimo andare in treno perché ogni tanto assisti, come fossi a teatro, a scenette pittoresche. Anzi, assistevo, perché adesso, con le frecce ,…

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  2. ok, mi piace come scrivi e cosa scrivi, con questo post, sociologico e leggero – e così vicino alla mia realtà di ometto del nordest – hai vinto tutto quello che potevi vincere nelle mie classifiche di gradimento.

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