Ora, vi devo confessare una cosa. Che a me Menenio Agrippa è sempre stato sulle scatole parecchio, fin dai tempi delle elementari. Me la ricordo la mia maestra, che seria e compunta, nel Veneto bigotto degli anni ‘70, spiegava la storia di quei disgraziati dei plebei di Roma che, ad un certo punto, stanchi perché i patrizi erano gli unici a governare, dicono “Ah, sì, e allora noi non facciamo più un ca’!”
E via, braccia incrociate: primo sciopero della storia e vai.
Che alla maestra i plebei stessero antipatici era evidente dalla piega all’ingiù delle labbra e dallo sguardo di feroce riprovazione mentre raccontava delle loro rivendicazioni, sguardo che invece diventava subito pervaso di ammirata simpatia non appena entrava in scena lui, Menenio Agrippa.
Menenio va dai plebei e inizia a fare un apologo sulle parti del corpo che si vogliono separare perché trovano che lo stomaco non faccia niente e campi grazie al lavoro di tutti. E poi spiega, con quel tono di fastidiosa supponenza paternalistica che hanno sempre gli aristocratici quando spiegano qualcosa ai poveri disgraziati, che no, lo stomaco ha ragione, perché nutre tutti, e quindi mani, bocca, denti e piedi devono essergli grati e lavorare per lui senza fiatare, perché il corpo civico funziona solo se tutti fanno la loro parte e stanno al loro posto.
Dio come lo odiavo, Menenio Agrippa. Io tifavo per i plebei in sciopero, che avevano ragione da vendere. Già da piccina odiavo tutti quelli che ti dicono che ognuno ha il suo posto fisso e determinato dentro la società, e deve accettarlo senza discutere e senza piantare grane, obbedendo agli ordini di altri che stanno più su. Io, fosse stato per me, a Menenio je avrei menato, tanto per fargli capire subito, a lui e allo stomaco amico suo, che le mani possono avere altre funzioni che portare il cibo, ecco.
Sono cresciuta, e Menenio Agrippa è continuato a starmi sulle scatole. Era più forte di me. Ma adesso che vedo gente che se ne frega delle più elementari regole base per arginare una epidemia perché dice che “nessuno può impormi di stare a casa!” e mette a rischio gli altri per farsi un aperitivo in centro, il caro vecchio Menenio lo sto rivalutando. Perché a certe teste d’amolo oggi gli ci vorrebbe un Menenio, scortato pure dai suoi littori che ti sfrangano di botte se violi un divieto. Perché sarà stato un paternalista, e un insopportabile aristocratico, ma sì, aveva ragione. Gli Stati sono corpi sociali e viene il momento in cui tutti dobbiamo capire che dobbiamo superare l’egoismo personale e il nostro personalissimo rendiconto, e fare la nostra parte, zitti e muti, per un bene superiore. E questa cosa dovremmo insegnarla a tutti, come fece Menenio.
E quindi vabbè’, Menenio, dopo tanti anni ti chiedo scusa.
Mi stai sempre sulle scatole, e sono ancora convinta che quella volta i plebei avessero ragione.
Ma contro il coronavirus hai ragione tu.
Ricordo l’episodio citato e anch’io non sopportavo la supponenza di Menemio ma in tempi di epidemia non si deve quardare tanto per il sottile. Si fissano delle regole e si rispettano o si fanno rispettare.
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