Caro alunno, ci stiamo provando e stavolta ci devi giudicare tu

Caro alunno,

In questi giorni di marasma, io mi rendo conto che manca tutto, e per prime le parole. O meglio, noi adulti ne diciamo tantissime, e parecchie faremmo anche meglio a tenercele per noi. Ci parliamo addosso, sui social, per telefono, nei malefici gruppi di whatsapp. Intasiamo la rete dei nostri pensieri, dei nostri diari minimi, anzi minimissimi: quante volte siamo usciti a portare fuori la spesa, quanto ci lagnano perché ci tocca stare in casa, quant’è bello fare l’aperitivo in chat e pesante invece essere bloccati con fratelli, mariti, persino figli in spazi ristretti. Risultiamo infantili e spesso imbarazzanti. Brontoliamo e mandiamo accidenti a chi esce, condividiamo articoli più o meno sensati e bufale paurose, piangiamo, ci disperiamo, facciamo la conta social degli infetti, dei morti, ci lancianciamo in analisi matematiche e statistiche sui picchi e sui contagi persino se di nostro non abbiamo mai capito due acche di biologia.

Il grande assente, in tutto questo, sei tu. O meglio, no, tu sei presentissimo nel dibattito. Come oggetto non parlante. Siamo tutti lì noi insegnanti o genitori a dire che dobbiamo farti studiare a distanza, a dire che sì, wow, è una figata pazzesca, no, per carità, è un orrore. A fare la conta delle ore in cui stiamo o non stiamo in collegamento, giriamo video e podcast (spesso imbarazzanti, compreso i miei) per darti qualcosa da studiare. A sgridare gli insegnanti che fanno troppo, o troppo poco, che non erano pronti, che sono troppo tecnologici, che non lo sono affatto.

Tu non ho capito dove sei. Non ti incrocio sui social perché, giustamente, ne avrai di tuoi, dove noi adulti non ci siamo, e per fortuna. Di tutta questa orribile situazione non so, caro alunno, cosa pensi, cosa fai. Anche perché le rare volte che riesco a chiedertelo, mi rispondi con un sorriso e dici “Bene, prof”. E finita lì. 

E forse è meglio così, perché ti rivelo una cosa. Non saprei manco io cosa dirti. 

Io credo, caro alunno, cari alunni tutti, che da tutta questa cosa orribile (sì, diciamolo, santo cielo, senza mezze misure!) che ci è caduta addosso quello che si sta comportando meglio e con più dignità sia tu. Che stai zitto e ci guardi, come forse fanno gli scienziati con i topini in laboratorio.

Sei giovane, caro alunno, mica scemo. Noi adulti questa cosa spesso ce la dimentichiamo. Quindi sei perfettamente in grado di capire che noi, gli adulti, quelli che dovrebbero essere le tue guide responsabili, in questa situazione non sappiamo assolutamente cosa fare. Perché non ci era mai capitata prima. Perché manco avevamo mai messo in conto che ci potesse davvero capitare. E quindi siamo qui, a fare finta di essere in grado di affrontarla razionalmente, mentre invece spesso no.

Non è dalle video lezioni della didattica a distanza di questi giorni, caro alunno, che imparerai davvero qualcosa. E non perché non ci metteranno i tuoi insegnanti, compresa me, tutta la buona volontà a farle. Quello che ti insegneremo in questo periodo sarà come ci comporteremo noi. Per una volta, credimi, siamo davvero tutti alla pari: grandi, piccini, adulti, vecchi. Siamo insieme ad affrontare una cosa che non conosciamo bene e non abbiamo mai sperimentato prima.

Dovremo imparare, tutti, a farlo insieme. Forse è davvero il più grande esperimento didattico mai tentato. Altro che tutti quei deliri sulle competenze da acquisire, o le abilità. Siamo nella stessa barca, e dobbiamo inventarci tutto. I modi per stare insieme, per non darci sui nervi, per esercitare il rispetto reciproco, proteggere i più deboli, affrontare dilemmi morali serissimi. Sul campo, spesso senza rete.

Persino io che sto scrivendo questo post non ho bene idea di dove stia andando a parare. Ogni mattina mi alzo e cerco di scegliere una condotta nemmeno coraggiosa, ma solo decente: non farmi prendere dal panico, non adottare comportamenti che possano causare danni, mantenere viva l’umanità che ho in me tenendo vivo ciò che ci rende umani: il senso della comunità, e i valori in cui credo.

Ci provo, non è detto che ci riesca. Anche questa è una cosa che dobbiamo imparare: ci siamo sempre creduti potenti, e per certi versi immortali. Col caspita che lo siamo, ecco.

Quindi, caro alunno, io non ti dico niente. Non ti dò consigli, non ti do avvisi. Guardaci, trai tu le deduzioni che ti pare su di noi che ci arrabattiamo. Probabilmente ti serviranno in futuro, per essere più preparato, magari migliore. Osservaci, valutaci con i criteri che ti sembreranno più opportuni. Ed esercita anche comprensione e pietà quando ci riveliamo clamorosamente inadeguati. Ci stiamo provando, apprezza lo sforzo e non solo il risultato.

Stavolta, caro alunno, alla fine mi sa che il voto ce lo devi dare tu.

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