Storia divertente della letteratura latina: Terenzio Afro, la maledizione di essere sensibile.
Terenzio è così, povero cocco, uno di quegli intellettuali che ti fanno venire voglia di andargli vicino, dargli un abbraccio e dire: “Coraggio, Ciccino, dai!” Perché, tesoro, c’è davvero qualcosa di tenero e disperato in questo ragazzo di colore, minuto, intelligente, che arriva dall’Africa come schiavo a Roma, diventa un protégeé del Circolo degli Scipioni, deve sopportare maldicenze e pettegolezzi perché è bello, giovane, sveglio, e quindi tutti a malignare che le commedie non le scrivesse davvero lui o che gliele mettessero in scena perché con gli Scipioni, ecco, ci fosse del tenero che andava ben al di là della semplice ammirazione per il suo talento…
Invece lui, che non ama la strada facile, si fa quello che oggi definiremmo un mazzo tanto a tradurre commedie e ibridare trame perché la farsa latina così grassoccia a lui,che ha una raffinata cultura greca, non va. Non riesce ad avere mai un reale successo perché il pubblico latino invece vuole la farsa grassoccia, e poi, ciliegina sulla torta, a ventisei anni, mentre è in Grecia per studiare e approfondire, crepa.
Terenzio, ovvero degli amori non corrisposti. Non quelli dei suoi personaggi, che nelle commedie in qualche modo la sfangano e raggiungono un lieto fine. I suoi. Il suo amore per la letteratura, che gli impedisce di seguire le strade di successo e già battute da Plauto, che ai Romani piacevano un sacco. È un’epoca in cui il pubblico vuole l’equivalente del cinepanettone con De Sica e lui invece punta alla commedia di Woody Allen. Dove non c’è solo l’intreccio e la battutaccia ad effetto, ma c’è l’approfondimento psicologico, il tentativo di dare ai personaggi una coerenza, una sensibilità, una dimensione. Il militare fanfarone, il giovane amoroso, la suocera rompiballe: in Terenzio ci sono, ma sono diversi dalla macchietta, dallo stereotipo. Prova a descriverli non come personaggi ma come persone, con le loro asprezze di carattere ma anche con la capacità di virare all’improvviso in un gesto inaspettato.

Non acchiappa, Terenzio. Non piace. I Romani vogliono la risata, come dava loro Plauto. Bisogna capirli, erano gente spiccia che stava a conquistare un impero, la sera vogliono qualcosa di divertente, che non costringa a pensare. Tutta quella roba greca così sottile, così sfumata sembra spesso soltanto una gran palla. La letteratura latina di questo periodo è un po’ come Il Sorpasso: Plauto è l’estroverso Gassman e Terenzio il malinconico Trintignant.
Lui è così, introverso, silenzioso, alle volte persino distante, ma mai distaccato. Non è presuntuoso, non vuole dare lezioni. È solo un ragazzo che ci sta provando con tutto se stesso a scrivere qualcosa di bello, qualcosa che valga la pena.
Gli si vuole bene, a Terenzio. Persino quando ti tocca ammettere che non tutte le sue commedie sono venute fuori bene, proprio perché in tutte ci senti quest’ansia che lo divorava. Di essere meno prevedibile, meno scontato, di essere vero. Ventisei anni e sei commedie. Tanto gli ha concesso di scrivere il destino prima di portarcelo via. In modo discreto, da par suo: schiantato dalla notizia che il baule con le commedie che aveva riportato dalla Grecia era andato perduto in un naufragio. Tutti quei manoscritti che non avrebbe potuto studiare più sono un colpo tremendo. Muore, di disperazione.Oggi diremmo di depressione, forse. E a te resta fortissima la voglia di correre ad abbracciarlo, dirli ma no, ma cosa fai, ma smettila, avrai millenni di soddisfazioni, poi.
Non si può, purtroppo. Ma noi gli vogliamo bene. Dopo secoli, ancora.
Grazie, cara! Ci voleva…
Se non ti spiace, vorrei provare a condividere qualcosa di tuo nella email del Gruppo di Lettura della Biblioteca di Limena, con cui cerchiamo di sopperire alle allegre serate dei venerdì letterari…
Quando riprenderanno, ti invitiamo sicuro! 😉
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Verrò molto volentieri.
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