Stilicone o la maledizione del mezzosangue

Stilicone, o la maledizione del mezzosangue.

I mezzosangue sono sempre i più difficili da scandagliare. Sono individui che nascono sul confine, anzi, sono essi stessi il confine. E siccome il confine è una linea immaginaria e sottile, e bisogna stare per forza o di là o di qua, è inevitabile che i mezzosangue debbano decidere da che parte stare e dove mettersi. Devono scegliere, cosa che agli altri non è chiesto, o è chiesto molto meno. Per quanto scelgano, poi, c’è sempre in loro qualcosa di estraneo e di non assimilabile, che essi stessi vivono come una vergogna o una colpa. E per espiarla o renderla meno evidente, ecco che spesso diventano più realisti del re. Non perché sono fanatici, ma perché sono più fragili ed esposti al giudizio altrui.

Stilicone il baluardo dell’impero

Era un mezzosangue, Stilicone. Nato da un vandalo e da una romana. Un mezzosangue di lusso, perché il padre era già un ufficiale dell’esercito e la madre rappresentante della classe dirigente. Ma quella macchia, quel vizio d’origine, quel difetto di fabbricazione i romani con la puzza sotto il naso e il pedigree perfetto glielo rinfacciarono sempre, e non glielo perdonarono mai.

Integrare i barbari

Integrare i barbari, vivaddio, era ormai la procedura standard dell’impero, e lo stesso Teodosio ne aveva fatto la sua bandiera, anche perché dei barbari, alla fin fine, si fidava come soldati assai più di quanto non si fidasse degli imbelli e infidi romani. Ma Teodosio era spagnolo, e veniva da una terra che a Roma aveva dato condottieri, imperatori, era romana fino alle midolla. E Stilicone invece ogni volta che diceva che i barbari andavano integrati e inseriti, no. Lo guardavano come uno che tira l’acqua al suo mulino, che vuole aiutare la sua gente a mettere le mani sul potere.

Musei di Brescia, dittico consolare

Poco importa che per l’impero avesse fatto più lui che molti senatori. poco importa che ormai fosse più patrizio lui di tutti, avendo sposato Serena, la nipote che Teodosio amava come una figlia. Mezzosangue era e ai loro occhi restava. Non era un dettaglio, era una condanna a vita.

Stilicone e i barbari che si vogliono integrare

Non che lui se ne fregasse più di tanto. Dal padre vandalo aveva preso la durezza e dalla madre romana una buona dose di spocchia. Si sapeva necessario, e del resto non poteva non diventarlo in una famiglia come quella di Teodosio, dove i maschi ereditavano il titolo di imperatore e la totale incapacità di gestire qualsiasi cosa. Le femmine, le femmine invece erano toste, e tostissima era sua moglie, che pur essendo principessa si comportava da regina. I due figli di Teodosio, Arcadio ed Onorio, erano due imbecilli. Serena e Stilicone erano i loro baluardi.

Ma era un mezzosangue, e i vari dignitari di corte, come il prefetto Rufino, tramavano costantemente nell’ombra per diminuire il suo potere.

Stilicone non ha mai accettato di essere messo da parte, o limitato. Come tutti i barbari venuti su dal nulla aveva la chiara percezione del suo valore, e poca disposizione d’animo alla modestia. Del resto quando poi c’era da andare sui campi di battaglia, era lui che si smazzava guerre e controffensive.

A Pollenzo, il 6 aprile del 402, c’era lui a fronteggiare Alarico. Barbaro come lui, e in fondo con i medesimi problemi. Anche lui avrebbe meritato un comando, e non glielo volevano dare. Perché era un Goto, e non un romano.

La battaglia di Pollenzo contro Alarico

Sul campo di battaglia si fronteggiano così due uomini che in fondo hanno lo stesso problema. Vogliono servire un impero che ha bisogno di loro, ma non li vuole. Li tratta come i maggiordomi di casa, necessari ma invisibili. Entrambi non ci stanno, entrambi lottano perché il loro merito sia riconosciuto. Se i romani lo facessero, entrambi sarebbero forse i più fedeli servitori di Roma, perché loro Roma la amano, la vogliono tenere in vita. Sanno cos c’è fuori dall’impero, quel caos primigenio e terribile che i Romani di stirpe nemmeno indovinano.

Si scontrano, Stilicone vince. Perché è un barbaro educato come un romano e che ha assorbito di Roma l’organizzazione.

Non gli saranno mai grati, i romani. Lo troveranno presuntuoso e ambizioso. Quella ambizione che avrebbero lodato in altri, se altri fossero stati capaci di fare quello che faceva lui. Quella ambizione che avrebbero trovato naturale e giustificata, se Stilicone fosse stato romano.

Un mezzosangue. Resterà questo, per sempre. Anche quando lo uccideranno a tradimento, per il terrore che prima o dopo un suo discendente salisse davvero al trono. Ammazzeranno lui, e persino la moglie, colpevole di essergli stata sempre fedele, di aver intuito che quel mezzosangue era il meglio in giro a quell’epoca. Rea di aver saputo guardare oltre al pregiudizio di casta e di razza, di averlo scelto come compagno ancora prima che come marito.

La fine di Stilicone

È una grande figura, Stilicone. Tragica, immensa. Un uomo non simpatico, non facile, ma immenso. Figlio della sua epoca come nessuno altro mai. Diede moltissimo, ebbe molto ma sempre poco in cambio, morì male. Non solo tradito da coloro che aveva difeso, ma tradito per motivi assurdi, per calcoli gretti.

Meritava di più, forse di meglio, questo ultimo e assai incompreso baluardo di un morente impero.

Ma gli dei accecano coloro che vogliono perdere. Stilicone fu accerchiato da ciechi.

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