Per #lamitologiadigalatea, Enea, il Charlie Brown dell’antichità.
Enea, guarda, sì, lo so che ti ho trattato male. Ho tifato sempre per Didone, confesso, e a te ti ho preso a pesci in faccia. È che, figliolo mio, pure tu ci metti del tuo. Come eroe, lasciatelo dire, sembri sempre un po’ stordito, come se fossi fuori posto. Rispetto ad un Achille, che è una testa calda ma si butta a capofitto nelle situazioni, o ad un Ulisse che sa sempre come venire fuori dai peggio casini, tu appari confuso, incerto, e pure assai slavato.
È che, Enea, ci vuole un po’ di tempo per capirti. Perché non sei un eroe antico, sei contemporaneo. Forse per questo a noi contemporanei stai un pochino sulle balle. In te vediamo i nostri difetti riflessi così bene che più che un personaggio sei uno specchio.
Enea, diciamocelo, tu non sai mai bene che caspita fare. E anche quando lo sai, non ti riesce come dovrebbe. Scappi da Troia e salvi tuo padre e il figlio, e che bravo ragazzo, direte voi, ma poi ti dimentichi la moglie, Creusa. Che, santi numi, non è mica un particolare, una moglie, e i più cattivi direbbero che è pure freudiano che non ti accorgi di averla persa. Hai mai visto un eroe che si perde la fanciulla da salvare? No. Nessuno tranne te, Enea, appunto.
Poi vaghi, per il Mediterraneo, un po’ a caso. Che uno dice, vabbe’, pure Ulisse. No, tesoro, Ulisse sa dove tornare, solo che non gli riesce. Tu sembri uno che non sa usare bene Google Maps. E vai in Tracia, e a Creta, e poi in Epiro, e in Puglia, e in Sicilia e a Cartagine. E povero cocco, non è nemmeno colpa tua, sono gli dei che invece di darti una meta precisa vanno per oscuri accenni, papà Anchise che non capisce una cippa e mamma che ti sta col fiato sul collo, però il dubbio che pure tu non sia proprio un’aquila a decifrare gli indizi viene.
Ė che, Enea, diciamocelo, tu da Troia ne esci male, oggi direbbero che ti è rimasto lo choc post traumatico, come ai reduci dell’Iraq. Non che poi il mondo faccia molto per metterti tranquillo: come ti volti, scopri nuove disgrazie. Polidoro ammazzato a tradimento da chi doveva salvarlo, Andromaca, povera cocca, che è diventata regina ma dopo essere stata violentata e aver perso marito e figlio. C’è poco da stare allegri per i troiani, e tu metaforicamente cammini rasente i muri, figlio mio, perché hai capito che la fregatura è sempre dietro l’angolo.
Il problema è che così rimani sempre un impiegato della mitologia. Hai un destino, che poi ti ha dato mamma tua, perché è pur sempre dea. E tu da bravo figliolo quale sei, ti adatti. Fai quello che da te si prevede perché sei buono e ligio e persino tanto sensibile, ma resta come il dubbio che tu nel tuo ruolo sia intrappolato e non abbia mai le palle sufficienti a cercare di scappartene via.
L’essere bravi e ligi è un limite, nella vita come nel mito. Tu sei uno di quei bambini giudiziosi che sono sgobboni in classe e fanno tutti i compiti, anche bene. Ma gli manca il guizzo, ovvero il carattere, per essere dei veri numeri uno. E il peggio è che, siccome non sei stupido, lo sai, e in qualche modo te ne crucci. Ti piacerebbe, oh, se ti piacerebbe, mandare tutto al diavolo, il destino, la mamma dea, i doveri, il fato che ti impone di diventare il progenitore di Roma, startene a Cartagine con Didone e fare il principe consorte che si gode la vita in pace.
Ma non ne vieni mai fuori, Enea, perché per venirne fuori bene ed essere un eroe a tutto tondo dovresti avere la grinta e il coraggio di dire quel benedetto vaffanculo che ogni tanto ti sale alle labbra, ma non pronunci mai. E resti lì bloccato, nel tuo guscio, mentre gli altri ti guardano come si guarda uno che è un capo, ma non è mai un vero leader.
Non sei cattivo, Enea, mai, e questo è il tuo problema. Vivi, obbedisci, ammazzi pure, e non ti si può dire nulla perché fai tutto a modino. Ma alla fine resti lì, un po’ insulso, un po’ senza sugo, come una grande occasione sprecata, ad invecchiare nel Lazio con Lavinia e la tua progenie. Come un re, certo, e persino come un uomo di successo.
Ma con il dubbio che il tuo successo non sia dovuto al tuo valore e forse nemmeno alla tua bontà, ma alla dura legge del destino, e cioè che alla fine i posti migliori nella vita se li prendono i mediocri
smontato il mito di Enea oppure Virgilio non ha avuto il guizzo giusto
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