L’altra sera parlavo con un amico, in quel clima di allegra confidenza che c’è prima dell’ora di cena: quello in cui non si è più ingessati dalle responsabilità del giorno, ma neppure già troppo sbracati, o stanchi; quello in cui, insomma, ancora si ha voglia di ragionare un po’, ma non del tutto seriamente, e si è disposti a dire con il sorriso sulle labbra cose che si è meditate magari a lungo, in silenzio, e in maniera del tutto seria.
L’amico, dunque, dopo una vivace descrizione di un discorso tenuto, ad una cena, da una Massima Autorità, in cui la Massima Autorità, ad onta di tutte le maiuscole che Le erano dovute, aveva fatto una figura che si poteva definire barbina solo perché bisognava ricordarsi d’essere comunque in un contesto ufficiale, l’amico, dunque, dicevamo, se n’è uscito di botto con questa domanda, rivoltami sia in qualità d’amica sia, credo, di storica: “Ma il Rinascimento è stato solo una gran botta di culo?”
L’amico è uomo colto, per di più dotato di una intuizione istintiva per i processi sociali e storici, e quindi la forma così brutale del quesito era una provocazione bella e buona. Si capiva dal tono scherzoso e smagato che accompagnava le parole, e che spesso accompagna le sue boutade, quando decide di farle; eppure stavolta, dietro la simpatica ironia, si indovinava anche una morsa di reale malessere: uno spaesamento che di questi tempi, sempre più, prende tanti, non solo intellettuali, ma anche persone comuni. Quello di sentirsi all’improvviso immersi in una Italia non solo cattiva, ma stupida, ignorante e brutta. Ecco, soprattutto brutta: perché fra le tante cose è questa quella che disturba di più: una terra che in passato si è sempre segnalata per la capacità di produrre cose belle, ora svacca paurosamente nel triviale. Persino chi da anni non si fa illusioni sulla reale fisionomia del nostro paese, e lo sa formato da uno zoccolo retrivo, impermeabile al tempo ed agli sforzi, arcaico e grezzo, resta spiazzato non solo da alcuni rigurgiti belluini, ma dal modo senza grazia in cui vengono espressi e accolti dalla società. Siamo un paese in cui l’etica non ha mai avuto grandi successi, ma almeno l’estetica godeva di un diffuso prestigio: certe cose non si nascondevano perché immorali, ma perché brutte e poco chic. Ma era già qualcosa.
Il fatto è che la nostra cultura è riuscita a produrre, in taluni periodi, sì il Buono, ma come un sottoprodotto del Bello: un sottoprodotto incidentale, va detto, non voluto e neppure cercato scientemente; ma per produrre il Bello, o l’Elegante – si parli di un vestito, di una statua, di un dipinto, una città o un trattato filosofico – è necessario formarsi prima tutta una serie di competenze specifiche e di dare a se stessi una disciplina tale che l’uomo, nel suo complesso, alla fin fine, ne risulta migliore.
Il Rinascimento, in gran parte, è stato questo: una enorme, lunghissima a approfondita riflessione sul Bello e sui criteri che lo dovevano regolare, portata avanti con pignoleria e monomaniacalità da una serie di individui che fecero tutti parte di un movimento comune, ma come cani sciolti. Hanno cominciato a smontare i canoni a loro precedenti, a cercare ispirazione in campi e cose che fino ad allora erano stati tabù, ad infischiarsene dei pregiudizi, dei vincoli della religione, della morale e della politica, rischiando e pagando di persona i conti che alla fine furono presentati. Hanno liquidato il vecchio con atti e percorsi rivoluzionari, ma sostanzialmente individuali.
L’incapacità italica di “fare sistema” era già tutta presente e declinata nella biografie di questi grandi, che, pure se di tanto in tanto capaci di consociarsi in circoli e creare legami, agivano sempre poi da singoli, e come singoli si rapportavano con il mondo. Perché il Bello, è inutile, nasce da uno slancio personale e da una personalissima interpretazione della realtà che ti circonda. Chi si pone come obiettivo di creare il Buono deve per forza pensare come rapportarsi con la società, perché il Buono ha bisogno di una condivisione di partenza e anche di una certa fiducia negli essere umani che devono fare da uditorio e da contraddittorio, perché sono parte attiva del processo; chi crea il Bello può partire anche isolato o da una piccola cerchia di eletti: il Buono si costruisce e abbisogna di discussione, il Bello – platonicamente inteso, ma il Rinascimento era platonico, e l’estetica, per giunta, democratica non è mai stata! – si impone in virtù della sua sola bellezza: è istintivo, poco mediato e può far presa anche su grandi masse che non hanno gli strumenti culturali per comprenderlo appieno.
Il Rinascimento, per certi versi, è stato sì una gran botta di culo. Non però nel senso di generico colpo di fortuna che ha fatto nascere nello stesso periodo una straordinaria serie di personalità dominanti ed eclettiche, ma nel senso che queste personalità hanno capito il mezzo più giusto per diffondere presso la massa italica le nuove idee che andavano proponendo: non hanno tentato democraticamente di convincerla ed educarla, la massa, ma hanno imposto nuovi canoni di bellezza ed una arte nuova. Il Rinascimento, come anche – seppur in più piccolo – il Risorgimento, è stato una sorta di “eroico sopruso”, portato avanti da una minoranza determinata ma per nulla democratica, o disposta a riconoscere a tutti gli altri il diritto di sindacare su ciò che si andava elaborando. Creato il Bello – in alcuni casi addirittura il Meraviglioso o l’Insuperabile – si è arenata lì, perché aveva esaurito il suo compito ed il suo slancio vitale.
In Italia la frattura fra intellettuali e società non si compone mai anche per questo: perché l’intellettuale italico ricerca per sua natura il Bello, qualche volta riesce ad imporlo, e poi si ferma perché sente di aver adempiuto alla sua missione; la massa, dal canto suo, accetta il Bello creato dall’artista, si abitua ad esso sul lungo periodo, ma in qualche modo non lo sente mai quel “Bello” del tutto suo, perché non ha avuto parte nella sua genesi. Lo ammira, quando impara finalmente che lo deve ammirare, ma si ferma lì. Lo scollamento all’interno della nostra società ha radici antiche, ataviche. Parte da questa impostazione di fondo: siamo un popolo che non fa rivoluzioni, ma, al massimo, subisce colpi di mano ascrivibili a ristrette consorterie. Quando ci va bene, arriva il Rinascimento; quando ci va male, e la consorteria vincente proviene dalla pancia retriva del paese, può venir fuori di tutto, Fascismo compreso. Chi perde, a meno che non venga fatto fisicamente fuori, può consolarsi dicendo che il paese è migliore della classe politica che lo governa. Il che, per certi versi, è anche vero. Ma non tutto il paese. Solo quella parte che vorrebbe produrre un diverso e nuovo tipo di Bellezza, ma è stato momentaneamente escluso dalla stanza dei bottoni.
si, però…magari c’entra anche l’economia e la politica nell’aver reso possibile il rinascimento. Non trascurerei il ruolo della crescita economica tardo medievale che ha permesso a una parte importante e relativamente numerosa di intellettuali di avere una committenza, essenzialmente per illustrare il prestigio e la potenza del Principe.
La botta di culo è stata ancora maggiore quindi..
Infatti alcuni almeno di quei principi erano essi stessi intellettuali, il che secondo me rende ancora più unico il rinascimento. In fondo la politica di allora non si comportava poi diversamente da quella di altre epoche: non tollerava minacce al proprio potere. Aveva solo più cultura e più gusto.
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La disponibilità economica creatasi nel Tardo Medioevo fu fondamentale per avere una committenza in grado di pagare le nuove opere d’arte, certo. Sono però convinta che anche gli artisti seppero giocare bene le loro carte per “educare” la nuova committenza a considerare di moda e necessarie le loro straordinarie creazioni. Una volta convinta la committenza con i soldi che era per lei opportuno comprare il nuovo “bello” era fatta. Quanto poi alla maggior cultura e gusto della classe dirigente di allora: credo, anche qui, che ci fosse una diversa di come dovesse essere l’immagine del nuovo potente. Se ne Medioevo il signore poteva essere anche analfabeta, nel Rinascimento no. Non tutti i signori ed i principi, secondo me, avevano tutti gli interessi culturali che millantavano in pubblico: ma era vitale, allora, per loro, per lo meno far credere di avere interessi intellettuali, perchè l’uomo “bello” (platonicamente parlando) non poteva essere uno zuccone. Poi alcuni signori, tipo Lorenzo dei Medici, furono davvero intellettuali di palato fine. Gli altri finsero, più o meno bene, di capirci qualcosa. Concordo che il livello era diverso: all’epoca ci si premurava di avere a cena Michelangelo, oggi lo sgarrupato che ha vinto il Grande Fratello. Ma il potente che invita il velinume a cena ( e per velinume intendo anche molti personaggi maschili televisivi) ha una sua precisa estetica: pensa che il “bello” o il “Figo” oggi sia quello: aveve il soldi e passare la serata con i reduci dell’Isola dei Famosi come commensali.
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ovvero il dominio dei testicoli sul cervello (o sullo spirito, fa lo stesso). Parlerei più sinteticamente di regressione delle facoltà corticali del genere umano a vantaggio di quelle subcorticali-ormonali.
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dunque, a cultura storica non vado benissimo, però mi pare di ricordare che in epoca imperiale a roma, se eri molto “in” a cena aveva il gladiatore del momento, l’attore e la danzatrice di grido. insomma se la storia è oggetto periodico, che quindi si ripete un po’, ora siamo in epoca imperiale, tra un po’ arriva il medioevo e poi con qualche sforzo, un’altra “botta di culo” rinascimentale… magari non ci saremo noi ma mai perdere la speranza.
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Comunque il Rinascimento (e prima di lui l’Umanismo civico, fenomeno politico non meno rilevante) nasce in una città, Firenze, in cui non ci sono prìncipi (neanche i Medici lo sono davvero fino alla restaurazione post-repubblicana) ma solo una solida e ricchissima borghesia, e in cui le querelles estetiche (come il concorso per le porte del Battistero o quello per la cupola del duomo) sono vissute con passione dalla cittadinanza (per lo meno da una porzione di cittadinanza abbastanza ampia). E se il David di Michelangelo fu preso a sassate quando fu posto in piazza della Signoria, la motivazione era, almeno in parte, estetica: era considerato sproporzionatamente grande per il posto cui era destinato. Ciò che rese possibile il Rinascimento a Firenze (e a Venezia, per le stesse ragioni) fu la presenza di una borghesia ampia, ricca e colta, e una delle ragioni di questa cultura fu l’indipendenza politica della città, che voleva dire in primis indipendenza (fin dal medioevo) dall’influenza della Chiesa e l’assenza di un signore assoluto come a Milano. I borghesi si sentivano i cittadini di un’Atene rediviva e trasfigurata nella loro immaginazione come la città di Pericle, Platone e Demostene. Mettevano nei posti chiave degli intellettuali (gli umanisti appunto: Leonardo Bruni, Matteo Palmieri, Poggio Bracciolini ecc., tutti funzionari di primo piano nel governo cittadino) ed erano fieri della loro libertà repubblicana che li metteva contro il papa (non so per quanti anni Firenze visse sotto l’interdetto senza che nessuno se ne importasse molto) e contro l’imperatore o i vari signori assoluti. Non avevano bisogno di essere educati dagli artisti, a cui chiedevano loro stessi nuovi stimoli (per questo salutavano l’affermazione di un nuovo artista come un trionfo cittadino). Quindi, oltre al fondamentale aspetto economico, ci sarebbe da considerare l’indipendenza politica intesa come emancipazione dalla Chiesa e dal potere assoluto di quei signorotti che trasformeranno il tardo Rinascimento in quello che Galatea descrive: un fenomeno estetico lontano dalle masse. Secoli di clericalismo e di politica stile signorotto di provincia, hanno fatto trionfare quest’ultima incarnazione del Rinascimento, mentre quella repubblicana di Firenze o Venezia è morta con l’affermazione della signoria medicea e (a Venezia) con la trasformazione in senso strettamente oligarchico del governo aristocratico. Poi ci sarebbe da parlare del trionfo del movimento artistico tipico dell’assolutismo politico, il Barocco (fatto apposta per far colpo sulle masse, per ingannarle con i suoi “tromp-l’oeil” o per nascondere l’architettura, al contrario delle linee semplici e chiare di un Brunelleschi), che domina le nostre chiese e, quindi, ha offerto per secoli alle menti semplici un modello di bellezza artistica considerato insuperabile (ancora oggi se entrate in case modeste o di persone non educate, i ritratti di Gesù o di santi popolari, anche contemporanei, obbediscono all’estetica pittorica barocca). Se il fascismo avesse adottato il barocco invece del modernismo, avrebbe ancora più estimatori di quanti già non ne abbia (purtroppo).
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@->Alessandro: io infatti per Rinascimento intendevo indicare solo la parte conclusiva del movimento, da distinguere dalla prima fase, quella, come ben hai indicato tu, dell’Umanesimo “costruttivo” e civico. Per quanto anche l’Umanesimo sia un fenomeno connotato in maniera terribilmente individualistica e territoriale: è diverso a Venezia, Firenze, e così via.
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Cara Galatea, sì, avevo capito che ti riferivi al tardo Rinascimento. Quello su cui volevo richiamare l’attenzione era che una delle condizioni per lo sviluppo del primo Rinascimento fu l’indipendenza politica (ma anche ideologica) dalla Chiesa e da signori assoluti. Per cui, in un’epoca di B16 e SB, un nuovo Rinascimento ce lo possiamo scordare…
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Dunque…… a me questa frase del Rinascimento come “botta di culo” suona familiare…..però l’uomo colto non lo individuo mica.
;D
Inchino e baciamano
Ghino La Ganga
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@->Ghino: sono sicura che se ti concentri un attimo e fai mente locale, capisci anche chi è…su, dai, forza, che ce la puoi fare.
😀
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ho atteso un po’ per commentare. c’è qualcosa di fondo che condivodp all’interno di una serie questioni che invece non mi convincono affatto.
non mi convince l’antidemocraticità degli artisti del rinascimento. cosa vuol dire, che altri periodi lo sono stati? nessuna avanguardia lo è mai stata, è insita nel suo essere avanti agli altri, nel suo elitarismo, l’antidemocraticità. ragion per cui quasi tutti i movimenti che si son posti come avanguardia lo son stati. non l’avranno citato un termine così (qualche architetto rinascimentale citò comunque il termine “moderno” per contrapporsi al medioevo) però si comportavano come elite che dovevano insegnare agli altri come si doveva abitare, vestire, vivere…
rinascimento: solitamento lo si individua in un paio di decenni a cavallo tra 400-500, però per molti il rinascimento oramai lo si può allargare a tutto il barocco: in fin dei conti usavano gli stessi codici, lo stesso linguaggio, le stesse grammatiche, magari le deformavano, le declinavano in modo diverso ma pur sempre la stessa lingua usavano, quel classico reinterpretato grazie ad una ignoranza di fondo. vista in questa maniera la questione rinascimento non può essere ridotta a botta di culo temporanea e men che meno a poche singolarità che non facessero sistema.
“fare sistema”: cavolo, però ‘sta frase la condivido. il problema è lì. perchè, dal barocco in poi, noi italiani abbiam prodotto ben poco? per quale motivo siamo scomparsi per tutto il 700…l’800… e anche il 900? (forse non tutto il 900, ma buona parte sì). secondo me perchè nel 700 appare la tecnica così come la conosciamo oggi. il pensiero scientifico, le discipline tecniche, così come le conosciamo oggi, nascono in quell’epoca. l’ingegnere nasce allora, per poi istituzionalizzarsi nell’800. è lì che noi italiani siam venuti meno. nel confronto con la tecnica e la scienza e, se non mi sbaglio, essendo la tecnica un “coordinamento di mezzi in vista di un fine” beh… allora la tua frase “incapaci di fare sistema” la condivido appieno.
LdS
ps: nel 900 abbiamo comunque inventato il futurismo che, guarda caso, era un’avanguardia follemente entusiasta della tecnica…
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Purtroppo oggi l’individualismo, nell’epoca della morte dell’arte, può solo produre giri a vuoto. E abbiamo di questo in Italia ampie testimonianze.
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