Facce da Sky Priority, ovvero fauna da aeroporto

Siccome sono di quelle che nella vita al massimo prendono la corriera, e anche con una certa ansia da non so che, quando sono arrivata in aeroporto l’altro giorno, per andare in Puglia, mi si è aperto davanti un mondo quasi sconosciuto: gli aeroporti, come diceva non mi ricordo più chi e mi scoccia controllare, sono dei non-luoghi, frequentati, come tutti gli habitat di nicchia, da una fauna peculiare, anche se non esclusiva: diciamo una fauna non nativa, ma adattiva, nel senso che come metti piede in un aeroporto ti trasformi in un esemplare di fauna specifica da volo, anche se non lo sai.

Io, per esempio, faccio parte della categoria “stordita da viaggio”, nella variante “fantozziana doc”, anche perché conto in materia una esperienza pluriennale e continua, essendo mediamente stordita anche quando non viaggio, e quindi 24 ore su 24 persino da ferma. La stordita da viaggio si perde e si incasina. A prescindere. Voi le date un corridoio dritto e senza uscite, in cui è impossibile sbagliare l’entrata o l’uscita, ma lei ci riesce. Risale contromano il flusso, si infila per sbaglio nella coda delle toilette convinta che sia il check in, sbaraglia gli apparati di controllo riuscendo a salire sull’aereo senza aver passato le fasi di transito, scopre meravigliata, dopo aver letto cinquanta volte le istruzioni e aver comprato flaconcini appositi per tutto,  di aver ficcato in valigia una serie di bottigliette assolutamente non consentite, di fogge così inconsulte e dal contenuto talmente improbabile che persino gli addetti al controllo alla fine si arrendono e le concedono di imbarcarle, mossi a pietà di fronte a tale scemenza concentrata che si è presentata giuliva ai loro occhi, anche perché una cretina simile, diciamolo, non potrebbe mai essere una terrorista, perché manifestamente incapace di concepire un piano adatto persino a dirottare un triciclo.

Poi c’è la famiglia esausta. In coda c’è sempre la famiglia esausta, composta da padre, madre, e un numero variabile di figli, ma sempre superiore a tre. Se uno guarda le famiglie in aeroporto dovrebbe desumere che in Italia non c’è mai stata una crisi delle nascite, oppure che tutte le famiglie numerose decidono di viaggiare solo in aereo, non so. Comunque i figli sono sempre tanti, e tutti solitamente nella fascia di età in cui riescono benissimo a rompere le scatole, ma sono troppo piccoli per venire controllati, diciamo dagli zero ai cinque anni. L’organizzazione del nucleo famigliare prevede che i genitori di solito collassino sulla prima sedia disponibile, il padre millantando l’esigenza di connettersi subito tramite cellulare o tablet per scaricare qualche imprescindibile mail di lavoro  (il fatto che di mestiere faccia il portinaio di un ufficio chiuso a Ladispoli è del tutto ininfluente, voi non sapete quante mail, mentre sono in vacanza, i condomini mandino al portinaio!); la madre, invece, si schianta con l’aria affranta di una madonna pellegrina, con sul volto stampato l’annuncio: “Io li ho messi al mondo, ho espletato il mio dovere riproduttivo nei confronti della specie, ora sono cazzi vostri”. I figli, nel frattempo, con organizzazione degna di truppe d’assalto, colonizzano l’aeroporto: i piccoli perlustrano il pavimento, gattonano fino al banco del check in, si arrampicano sulle gambe di hostess e passeggeri, mentre i più grandi attaccano i cordoli di sicurezza, li smontano, ci passano sotto, attaccano alle spalle gli steward pretendendo di essere portati a cavacecio, usano il passeggino come ariete di sfondamento mirando alle caviglie degli altri passeggeri. Nessuno ha il coraggio di dire nulla ai piccoli barbari, tanto meno i genitori in catalessi, finché, non si sente un un perentorio “Fermi! Non si può!” detto in tono tonitruante dall’unica che abbia il coraggio ed il polso per intervenire: la signora delle pulizie.

Infine c’è, e l’ho scoperto solo ora, la coda della Sky Priority, che è un mondo a sé nell’universo dell’aeroporto. Nel mio caso era costituita da cinque persone, impettite davanti al banco del check in con la stessa spocchia del pubblico di un esclusivo torneo di polo a Montecarlo. C’era un manager in giacca e cravatta, con una valigetta ventiquattrore al polso, gli auricolari alle orecchie, impegnato a rispondere ad una telefonata da cui come minimo doveva dipendere la sorte del mondo, vista l’espressione di torva concentrazione che aveva; il fatto che parlasse apparentemente solo di alcune scatole di scarpe disperse da non so che corriere era sicuramente perché comunicazioni di tale importanza si svolgono in codice; poi un industrialotto in jeans e camicia fighissima, dall’aria finto scanzonata, che però valutava ad occhio tutto l’aeroporto metro quadrato per metro quadrato, e decideva che lui lo avrebbe fatto funzionare meglio alla metà dei costi. Infine c’era la famigliola ricca, costituita da padre cinquantacinquenne con faccia da avvocato cinquantacinquenne, blazer blu, capello brizzolato, abbronzatura da barca a vela in Sardegna, occhio ceruleo passabilmente schifato dal marasma di peones della coda non priority, cui purtroppo doveva stare accanto; vicino a lui la moglie bionda, magra, di vent’anni più giovane, inguainata in completo di firma e avvinghiata alla sua Luisvuittòn come se temesse che da qualche angolo una barbona dell’aere acchittata dietro un’ala gliela potesse strappare via, ed infine il figlio, un ragazzino tredicenne con gli occhiali e di una bruttezza tale che gli si sarebbe potuto pronosticare una vita da nerd sfigato, non fosse che indossava, come il padre, un blazer blu, il che spingvae invece a pronosticargli una sorte ben peggiore, quella da Amministratore Delegato.

I benefici della Sky priority, ho scoperto, sono fenomenali: consentono infatti di stare nella fila separata, che viene fatta passare esattamente tre secondi e mezzo prima dell’altra, e di arrivare quindi con ben tre secondi e mezzo di anticipo sul pulmino che porta all’aereo. E aspettare lì tre secondi e mezzo in più, perché tanto il pulmino non parte finché non è salito anche l’ultimo dei peones dell’altra fila. Però in quei tre secondi e mezzo puoi sentirti un ricco privilegiato mentre gli altri sono feccia. Il che giustifica appieno il costo del servizio, suppongo.

8 Comments

  1. I bambini piccoli che arrivano tipo sciame di cavallette!! 😀 In effetti ai miei occhi restano così tipo fino al biennio delle superiori. Specialmente dentro ai musei ahah 😀 Mi hai fatto davvero sorridere con la sky priority. No la verità è che qualche frequentatore assiduo, lo conosco e sogghigno beffardamente pensando a come l’hai pennellato tu 😀 😀 😀

    "Mi piace"

  2. Dipende dall’aereoporto.
    In molti il bus non c’é, ed effettivamente con al priority ti siedi prima e soprattutto trovi posto per il bagaglio a mano (se te lo mettono in stiva ci vuol mezz’ora in piú ad uscire dall’altra parte).Spesso ha senso in una direzione e non nell’altra (es: stansted-bergamo), ma se la prendi é per entrambe.le direzioni.
    E gli sgamati non stanno in coda alla priority, aspettan seduti finché non chiamano.
    Io non la prendo mai, son tirchio 🙂

    PS: questo é l’ imbarco, il check-in si fa prima, per lo piú online

    "Mi piace"

  3. L’articolo è divertente però dai, la priority su Rayan Air costa poco e permette (spesso, non sempre) di salire a bordo dell’aereo con più calma. Non è certamente uno status simbol da esibire con chissà che orgoglio e spocchia 🙂

    "Mi piace"

  4. La priority ha senso sui voli internazionali (o meglio ha senso il Club Freccialata con accesso alle Lounge negli aeroporti) e se viaggi in business. Attendi tranquillo nelle lounge (appunto) senza i carrozzini sulle caviglie.
    Sui voli nazionali uso tutte le offerte che trovo, tanto la business è uguale all’economica. Il viaggiatore abituale, invece, lo distingui dal fatto che non si mette mai in coda per il check-in, ma attende che siano defluiti tutti quelli che hanno paura che l’aereo parta senza di loro; e dal fatto che facendo il chek-in online si prende i posti nelle file delle uscite di sicurezza (c’è maggior spazio per le gambe)

    "Mi piace"

  5. A proposito di aeroporti e di aeroporci, una volta dovetti aspettare per qualcosa come sei ore una coincidenza da Milano ad Amsterdam. Bivaccai davanti al negozio armani dell’aeroporto ed ebbi così la possibilità di assistere in prima fila allo psicodramma piantato da tale Edoardo (biondo bambino toscano di circa 6 anni) di fronte al rifiuto materno, per fortuna poi sgominato, di comprargli una nuova maglietta dell’ Armani Giorgio. La prima shit-priority della mia vita.

    "Mi piace"

I commenti sono chiusi.