Accadde oggi: il compleanno di Francesco Petrarca, l’inquieto genio tutto italiano
Petrarca e il mito che fa male
Francesco Petrarca è uno di quei personaggi a cui diventare un mito ha fatto male. Perché a scuola la figura di Petrarca è sempre un po’ così. Dante è sanguigno e simpatico, con le sue feroci antipatie politiche, gli schieramenti netti, le baruffe, l’amore impossibile per Beatrice. E Petrarca, a confronto, sembra l’alunno perfettino ma antipatico, il primo della classe che si becca la corona di poeta laureato, l’ammirazione dei potenti, le prebende e il successo.
Petrarca il ragazzo inquieto
Petrarca non va raccontato per quello che è diventato. Per amarlo bisogna raccontarlo per come lo è diventato. Mettersi nei panni di questo ragazzo bene, figlio di un notaio guelfo amico di Dante e come lui esule, ma molto più ammanicato con la corte pontificia, per cui quando lo mandano in esilio, come Dante, Dante si ritrova con le pezze al sedere, e il notaio Petracco no, va a scrivere notule ad Avignone, alla corte del Papa.
Bisogna immaginarlo, Petrarca, giovanotto intelligente ma svogliato, a combattere contro un padre che lo vuole laureato in legge a Montpellier, mentre lui sogna di diventare poeta e si prende scuffie per belle e nobili dame, che sa che non potrà comunque sposare mai. Lo si deve immaginare studente a Bologna, mentre finge di non leggere la Commedia ma la legge, perché come tutti i giovani rosica per quel successo che teme di non raggiungere mai.
Lo si deve immaginare, Petrarca, giovane autore affermato e altezzoso, come solo gli intellettuali sanno essere, alle corti dei signori dell’epoca, convinto di capire più di tutti di politica e però sempre legato al bisogno di un protettore. Lo si deve immaginare Petrarca confuso rivoluzionato affascinati dal sogno di Cola di Rienzo, perché anche nel Medioevo si potevano avere svolte grilline.
Lo si deve immaginare impacciato adulto che decide di imparare il greco con umiltà, perché sente che gli manca qualcosa, e allora si mette a studiare come uno scolaretto, e prende appunti su un quadernino. Lo si deve immaginare come un uomo per cui i libri erano la vita e la vita invece alle volte una distrazione.
Petrarca il perenne insoddisfatto.
Petrarca va capito per quella sua continua inquietudine, per quel senso di inadeguatezza sottile ed esasperante che si porta sempre dietro, persino quando ha già tutto. Per quel suo essere meticoloso, pignolo, esasperante, che è frutto del volere a tutti i costi raggiungere una perfezione impossibile. Ma che lui riesce a sfiorare.
È un perenne insoddisfatto, per questo funziona. Petrarca è uno che riesce a scrivere delle cose così meravigliosamente complesse da sembrare semplici, come sembrano funzionare semplicemente gli ingranaggi di un astrolabio.
Petrarca è uno che ti fa smadonnare, perché spacca il capello in quattro, e poi in sedici, e poi in trentadue. E se lo facesse un altro sarebbe solo una inutile complicazione, e invece con lui no, scivola come l’acqua, mannaggia. È uno che si arrovella, di continuo, e sempre, e anche su cose che magari non lo meriterebbero. Ed è uno che insegue il successo, ne ha bisogno, anche quando non gli servirebbe più, perché ha un vuoto dentro da riempire e niente lo colma. È un intellettuale faticoso, soprattutto nella vita quotidiana, perché ha un ego immenso, e angosciante, come quello di uno scrittore fallito. Solo che non è uno scrittore fallito, è Petrarca.
Petrarca il perfetto italiano
Petrarca è italiano, incredibilmente italiano, con tutti i pregi e i difetti del nostro carattere nazionale. Geniale, fragilissimo, a volte insopportabile, spesso opportunista, quasi sempre indeciso e volubile, ma anche monomaniaco per le sue passioni, e intossicato dal lavoro. E da bravo italiano ti sembra possibile che con tutti questi difetti riesca alla fine a creare qualcosa di immortale e bellissimo. Ma ci riesce. E vai a capire perché.
E se volete approfondire, vi ricordo il mio L’ Italiano è bello, edizioni Sonzogno.

ottimo ritratto di un italiano famoso
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scusa galatea, avrei una comanda; ma al tempo del Petrarca uno scrittore pensava a se stesso con lo stesso spirito di adesso? In definitiva la grande maggioranza delle persone non sapeva leggere e i libri, ovviamente, erano rarissimi e costosissimi; quindi intravvedo una profonda differenza nel concetto di «successo»; oggi uno scrittore si sente di successo se ha centinaia di migliaia di lettori, mentre in quel tempo antico il successo voleva dire piacere ad una ristretta cerchia di potenti; da qui deriva un atteggiamento inevitabilmente devoto al potere; uno scrittore, dunque, non percepiva se stesso in modo diverso? Ovviamente vi sono eccezioni nel mondo antico, per esempio i tragici greci, che nel teatro avevano una «platea» più ampia, ma gli scrittori «di corte» erano scrittori ad uso di chi li faceva mangiare oppure ricchi essi stessi
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