Le donne tradizionali che non esistono e il patriarcato che frega i maschi

Le donne tradizionali che, in pratica, non sono mai esistite.

C’è tutto un settore di video sul web di uomini, anche abbastanza giovani, che spiega di voler avere relazioni solo con “donne tradizionali”. La loro idea di questo tipo di donne è però curiosa. Infatti pretenderebbero che le donne partecipassero al 50% alle spese della coppia(cioè non vogliono offrire loro una cena o fare dei regali nemmeno durante il corteggiamento), che non pretendessero dopo il matrimonio soldi per la cura personale, gli abiti e il trucco; che si occupassero dei figli a tempo pieno e della casa, ovviamente senza aiuto, e che compissero i famosi “doveri coniugali” d’ufficio e ad esclusiva richiesta dell’uomo, senza potersi esimere.

Ora, a parte che resta un mistero come una donna che non lavora possa partecipare alle spese di casa al 50%, a meno che non sia ricca sfondata di famiglia, l’idea però che questa fosse la condizione delle donne nelle società antiche (questi personaggi sono solitamente grandi fan della storia romana) è parecchio sballata.

La donna romana infatti non era e non è mai stata senza diritti, confinata fra le mura di casa. E parimenti non lo erano le donne di molte culture nel mondo antico. Nemmeno nel mondo medievale o nel Rinascimento e nei secoli dell’era moderna le donne erano prive di diritti e confinate solo alla cura dei figli. Paradossalmente l’internamento della donna in casa diviene più diffuso nel 1800, secolo borghese in cui la donna è trasformata nell’angelo del focolare.

Come funzionava infatti prima? Premesso che noi siamo ben informati per quanto riguarda le classi dirigenti, e un po’ meno per quelle popolari per mancanza di fonti, nell’epoca romana, per esempio, la donna certo si sposava e aveva figli. Ma, visto che per questi uomini i soldi sono centrali, le donne a Roma non perdevano mai il possesso dei loro beni e il diritto di amministrarli anche da sole.

Fatta eccezione per l’epoca arcaica, in cui però né uomini né donne avevano in pratica « beni personali » ma questi venivano amministrati esclusivamente dal pater familias, che aveva potere di vita e morte su tutti i figli, maschi e femmine e sulle coniugi dei figli, cioè sulle nuore, e quindi in pratica nessuno tranne lui toccava e amministrava i beni, già partire dall’epoca repubblicana le donne entravano nella famiglia del marito, ma tenevano il possesso dei loro beni.

La donna portava una dote al marito, e questi talvolta la amministrava, ma questi soldi non erano in ogni caso suoi. Il marito, per altro, doveva provvedere con i suoi beni alla casa e al suo mantenimento. La dote della moglie rimaneva della moglie, e una parte era spendibile dalla moglie per il suo mantenimento personale (abiti, trucchi, vestiti). I beni materiali della moglie rimanevano una sua proprietà. Se il marito li amministrava, ne doveva rendere conto, anche perché in caso di divorzio era tenuto a restituirli in toto alla moglie, con eventuali interessi.

La donna, certo, si occupava della casa e dei figli, ma non certo da sola e senza aiuti. Nelle case romane erano infatti presenti schiave e schiavi maschi, che curavano la casa, facevano le pulizie, cucinavano e curavano i figli come nutrici, tate e precettori. Le donne romane per altro, anche quelle delle classi meno agiate, spesso lavoravano fuori casa: gestivano botteghe, piccole e grandi imprese (il settore edilizio e la produzione di tegole e mattoni era saldamente in mano femminile, con fabbriche di laterizi in cui operaie e caporeparto erano donne, e donne le proprietarie: i bolli cioè i marchi sulle tegole ci confermano la proprietà femminile). Le donne erano anche imprenditrici agricole e soprattutto erano molto presenti nel settore immobiliare. I graffiti di Pompei testimoniano di donne che gestivano intere insule in affitto da sole, e di donne che con il loro patrimonio personale avevano favorito le campagne elettorali di mariti e figli, prendendosene il merito in pubblico. Insomma, chiuse in casa e senza potere proprio no.

Quanto poi alle relazioni sessuali, anche lì l’idea di questi paladini della tradizione è curiosa. Le donne romane (e anche quelle dei secoli successivi) erano assai spesso infedeli ai mariti allegramente: del resto l’idea era che una volta partorito un erede, ci fosse per i coniugi e per le donne in particolare l’assoluta libertà di trovarsi un’amante di proprio gradimento. A Roma c’erano coppie di fatto conosciute e riconosciute come ufficiali (per esempio Cesare e Servilia, amanti per decenni mentre entrambi erano formalmente sposati con altri). Nessuno aveva da ridire. Persino l’imperatore Claudio sopportò i mille amanti della moglie Messalina senza un piego: si spaventò solo quando lei decise che voleva far diventare l’ultimo imperatore al posto suo. Non reagì per gelosia, ma per un problema politico.

Quanto al fatto che questi uomini pretenderebbero di non dover pagare mai, nemmeno una cena, anche qui la tradizione rema contro di loro. Regali ad amanti consistenti erano il minimo per poter intraprendere persino una relazione soltanto sessuale. Le stesse aristocratiche romane non disdegnavano affatto che gli amanti, anche occasionali, regalassero borse con sesterzi: insomma, se non volete pagare nemmeno una cena, eh, mi dispiace, nel mondo tradizionale andate in bianco.

Anche nel Medioevo e nell’età moderna i patrimoni personali delle donne erano e rimanevano personali e a loro nome. I mariti nel migliore dei casi li amministravano, ma fino ad un certo punto: feudatarie e nobildonne usavano i loro patrimoni da sole e ne decidevano la suddivisione fra gli eredi senza che i mariti potessero mettervi in pratica bocca, e i casi i di Matilde di Canossa o di Eleonora di Aquitania sono emblematici. Luigi di Francia, che ripudiò Eleonora, dovette restituirle tutti i suoi domini e i suoi beni senza un fiato, e masticò amaro quando lei, libera e single, si risposò nel giro di pochi giorni con il re di Inghilterra, più giovane e figo per altro del precedente marito.

Le donne hanno sempre avuto la facoltà di separarsi dai mariti nel caso questi esercitassero su di loro violenza, di rifiutarsi di fare s3ss0 se non ne avevano voglia anche con i legittimi consorti. Le leggi forse non erano applicate, ma esistevano. Erano vietati i matrimoni imposti perché il consenso della sposa era necessario, e la legge prevedeva che addirittura lo Stato provvedesse ad una dote per la donna che volesse sposarsi ma non potesse farlo per difficoltà finanziarie.

Questi vagheggiatori moderni della « donna tradizionale » in pratica non sanno neppure che quella che loro vorrebbero è una donna che non è mai esistita. Paradossalmente se tornasse in voga la tradizione sarebbero loro in difficoltà, in quanto dovrebbero correre a cercarsi un lavoro per mantenere una casa e avere un reddito sufficiente per divenire appetibili come partiti, perché nelle società tradizionali nessun padre avrebbe preso in considerazione come genero uno spiantato senza casa e senza un patrimonio decente, e nel caso in cui il genero non si fosse dimostrato in grado di garantire alla figlia un tenore di vita adeguato o non l’avesse trattata bene se la sarebbe andata a riprendere pretendendo i soldi indietro, per accasarla meglio.

Quindi, signori miei, attenti a quello che sognate. Nella vostra vagheggiata « società patriarcale tradizionale » sareste assolutamente dei perdenti.

E soli. Come ora, del resto.