Supersex, ovvero perché la fiction italiana è spesso una occasione sprecata

I numeri per sfondare ce li aveva sulla carta tutti. Un biopic su un personaggio chiacchieratissimo e chiacchierabile, ovvero Rocco Siffredi, il re del porno. Un attore come Alessadro Borghi, bravo e bellissimo, nel ruolo del protagonista. L’occasione di solleticare i peggiori istinti del pubblico ma di trattare un tema grandioso, quello dell’industria pornografica e del suo sviluppo. L’Italia ipocrita e gaudente degli anni ‘80 e ‘90, in cui Ciciolina diventa parlamentare e Moana ci prova. L’occasione di scrivere una storia di miseria e di riscatto, con un protagonista che parte dal niente e che ce la fa a diventare comunque una leggenda nel suo settore. Da una storia così un bravo sceneggiatore ci può cavare fuori i Miserabili, o, per restare nell’ambito delle serie tv, Pose, grandioso affresco dell’ambiente off newyorchese.

Invece no. Supersex è una enorme occasione sprecata, che butta lì tutti questi temi senza avere il coraggio di approfondirne nessuno e si riduce alla fine ad un melò dai dialoghi imbarazzanti non perché si parla di sesso ma perché si usano frasi che sfigurerebbero persino sui baci perugina.

Borghi e Giannini sono lasciati soli a dire battute senza senso, in cui si parla d’amore e di cazzi a caso. Giannini per dimostrare che è un uomo tormentato è costretto a lasciare unti i capelli e avere l’aria di uno che non si fa mai una doccia, Borghi a spogliarsi ed emettere grugniti quando copula. I dialoghi pregnanti sono tipo: “Mi manca il mare” “Solo chi ci è nato vicino sente così tanto la sua mancanza”. È questo lo scambio di battute drammatico fra Siffredi e la Pozzi in uno dei momenti clou del loro rapporto. Rendiamoci conto.

Il moralismo didascalico della serie è fastidioso. L’idea che il piccolo Rocco non abbia altra strada oltre al porno perché nato in una situazione economicamente disagiata, che viene spiegata dal fatto che gli zingari del quartiere popolare dove abita vogliano sempre menare lui e i fratelli (non si capisce perché). la madre che non lo fila perché ossessionata dal ricordo del figlio disabile morto, il fratellastro che si capisce subito che farà una brutta fine perché frequenta giri pericolosi e si sposa una ragazza facile. La vita a Parigi dove non si capisce (o meglio non viene volutamente spiegato) come campino questi che non hanno un centesimo ma un appartamento di mille metri quadri e sei stanze a Pigalle, mantenuto pare dagli scarni guadagni della prostituzione della moglie del fratellastro, visto che lui è direttore di un ristorante vuoto e la sola volta che partecipa ad un colpo in banca si fa beccare nel giro di quattro minuti.

Poi entra in scena il porno, e anche qui non va meglio. La scuderia di Riccardo Schicchi è ridotta ad un paio di scene in cui non si capisce nulla di come venga gestita: c’è solo Schicchi, ritratto come un deficiente, che ai brucia da solo i campanelli e costringe Siffredi a fare spogliarelli dal vivo in spettacoli che vengono sospesi (perché? boh entrano in scena i poliziotti in tenuta antisommossa e ciao).

In tutto questo c’è il dramma e del fratellastro, che non ne combina una di giusta, della madre che muore, dei fratelli e del padre che si vergognano ma poi senza che venga spiegato il cambio di idea vanno a vedere Rocco che vince il premio del porno. C’è Rocco che vuole smettere, ma no, ma sì, ma forse, si sente solo e poi paffete, dopo una serie di storie con donne che gli dicono: “non sai amare, sai solo fare sesso”, ecco che vede la foto di una attrice porno alle prime anni, si innamora e si mettono assieme, e ci mancano solo gli uccellini di Biancaneve che svolazzano disneyani attorno.

Cioè ma davvero non si riesce a scrivere nulla di meglio in Italia che sta roba? Qui l’imbarazzo non viene dall’ambientazione, non viene dal porno, viene dal fatto che è una serie scritta male, banale, brutta e soprattutto noiosa. Il povero Borghi fa quello che può per dare un’anima al suo personaggio, si vede che s’impegna povero caro, ma è come voler costruire una cosa avendo a disposizione tre mattoncini lego scompagnati.

Non c’è niente di trasgressivo, niente di realistico e niente di approfondito. C’è solo uno scenario di cartapesta scrausa che rende noiose persino le scopate. “Abbiamo reso il porno vita” dice orgoglioso uno dei personaggi.

No. Però riesce a far sentire persino il porno in imbarazzo.